Oggi vi parlo di The Interview con la regia di Evan Goldberg e Seth Rogen, ma prima di approcciare a questo film, due incisi: 1) non è da Oscar, né educativo, anzi un è po’ volgarotto: 2) lo propongo perché di veri e propri film con a tema la Corea del Nord e la sua situazione non ve ne sono e se anche lo svolgimento non è il massimo, almeno è provocatorio e fa riflettere.



Il protagonista, interpretato da James Franco (attore, regista, produttore, scrittore, pittore, faso tuto mi, molto sopravvalutato in Europa), conduce un talk show in una Tv americana. È il più seguito negli States, e inizia con il cameo di Eminem che afferma di essere gay. La mente dello show è il suo produttore (interpretato da Seth Rogen), che suggerisce al conduttore in auricolare le domande e, saputo che Kim Jong-un è un fan scatenato del programma, contatta l’ambasciata della Corea del Nord. Tempo reale e vengono invitati per un’intervista al grande leader.



La CIA li intercetta, vuole che uccidano il sanguinario dittatore. Giunti in Corea del Nord vengono affidati a una bella tenentina dei servizi segreti che si innamora, corrisposta, del producer. Il conduttore conosce Kim e diventa un suo sodale, uniti dal fatto di aver avuto una triste infanzia e da una canzone di Katy Perry. Si riscoprono due bambinoni in cui il conduttore è il comico mentre il dittatore fa la figura dell’idiota.

L’intervista in diretta in mondovisione sembrerebbe naufragare in uno zerbinamento a pelle d’orso, ma il conduttore, in un rigurgito di nazionalismo americano, incalza Kim Jong-un con domande sui gulag, sulle carestie, sulla povertà del popolo coreano. Scoppia il finimondo tra la popolazione che scende in piazza e si ribella e poi… guardate il film.



Nel film James Franco interpreta lo stereotipo del mezzobusto americano (anche italiano), che non sa nulla e viene imbeccato mentre pensa solo al sesso. E qui hanno un po’ esagerato, dovevano fare meno battute così volgari ed esplicite, anche se nei cinepanettoni di De Laurentiis si rasenta l’overdose. Il film è una commedia comico-politica, politicamente scorretta, goliardica e ironica che alla fine mette in luce la situazione disastrosa della nazione nordcoreana. È del 2014, Obama era il presidente, e comunque, come con Trump, la politica Usa è solo un parare le iniziative nucleari di Kim e non tanto curare i diritti umani calpestati della popolazione.

La critica americana si era divisa: film che non doveva essere prodotto a prescindere e invece pellicola che svelava le angherie nordcoreane. Ma il bello della pellicola lo si è visto quando ormai stava andando nelle sale. Il governo di Kim chiese di bruciare la pellicola insultando pesantemente i due registi. Tutti fecero spallucce, in primis la Casa Bianca. Eravamo a giugno del 2014 e poco dopo un attacco hacker entrò nei server della Sony, rubando materiale e ricattandola. Per l’FBI l’input arrivava dalla Corea del Nord, che chiaramente smentì. Morale: i registi abolirono le presentazioni del film che fu rifiutato dalle grosse catene dei cinema americani. Fu visto poi a dicembre in 200 sale indipendenti, finché il governo Usa obbligò le varie piattaforme di streaming a caricarlo su internet.

Il metodo comunista di censura continua nonostante la sua caduta in quasi tutto il mondo, per fortuna abbiamo il web che fa da samizdat. Nel resto del mondo arrivò in dvd. Economicamente fu un flop.