Reduce da due film sperimentali come Unsane e High Flying Bird, girati interamente con l’i-Phone, Steven Soderbergh ha presentato al Festival di Venezia 2019 il suo primo lungometraggio distribuito da Netflix: parliamo di The Laundromat, uno dei titoli più attesi della stagione. Una pellicola basata sul libro “Secrecy World: Inside the Panama Papers Investigation of Illicit Money Networks and the Global Elite” del giornalista Jake Bernstein, con al centro lo scandalo dei Panama Papers: la vedova Ellen Martin (Meryl Streep) inizia a indagare su una polizza assicurativa falsa e si ritrova in un giro di loschi traffici, riconducibili a uno studio legale di Panama specializzato nell’aiutare gli uomini più ricchi del mondo a diventare ancora più facoltosi. I grandi protagonisti di questo intricato sistema di truffe sono Jurgen Mossack (Gary Oldman) e Ramon Fonseca (Antonio Banderas), che offrono supporto ai più abbienti attraverso società fittizie e conti offshore. E il problema di Ellen è solo la punta dell’iceberg dell’evasione fiscale e delle tangenti nel sistema finanziario più corrotto del mondo…
Dalla Cina al Messico, passando per Africa, Los Angeles e Caraibi, fino ai Panama Papers: 11,5 milioni di documenti confidenziali creato dallo studio legale panamense Mossack Fonseca e che chiama in causa oltre 200 mila società offshore. Capi di Stato, noti imprenditori e non solo: un giro di affari sporchi che chiama in causa oltre quaranta Paesi e che ha avuto degli effetti devastanti. Il primo report risale al 2016, con i fascicoli raccolti che sono stati analizzati da 400 giornalisti e da un centinaio di organizzazioni informative. Ma attenzione: The Laundromat è tutt’altro che un film drammatico, semmai un dramedy. Steven Soderbergh infatti sceglie la risata per affrontare un tema serio come questo: nessun fine educativo, l’obiettivo è quello di intrattenere lo spettatore e, attraverso la storia dell’agguerrita vedova Ellen, spiegargli in cosa è consistito uno dei più grandi scandali della storia recente.
Suddivisa in cinque capitoli, la pellicola ricorda molto da vicino The Big Short di Adam McKay e, grazie all’ottima sceneggiatura scritta da Scott Z. Burns, riesce a mescolare illeciti, gag e riflessioni più o meno serie. E Soderbergh non si limita a raccontare, ma sceglie di prendere una posizione netta: la scena finale non lascia spazio a dubbi. Geniale la scelta di partire dalla storia di Ellen, una donna alla ricerca di giustizia: il dolore dà grande motivazione, il lutto diventa il motore per “lottare” contro qualcosa di più grande. Fino ad affrontare il sistema finanziario che destabilizza l’economia mondiale, una serie infinita di scatole cinesi con il silenzio di chi dovrebbe vigilare. E Ellen rappresenta un amalgama di persone vere, un personaggio costruito per catturare l’attenzione dello spettatore: una scelta vincente e che raccoglie i frutti della collaborazione attiva del premio Pulitzer Jake Bernstein.
Un cast di altissimo livello (completato da Jeffrey Wright, Robert Patrick, David Schwimmer e Sharon Stone), trainato dall’ennesima straordinaria performance di Meryl Streep. Di ottima fattura regia, fotografia e montaggio. Strepitosi i due piani sequenza di apertura e di chiusura della pellicola, sia dal punto di vista tecnico che interpretativo. Netflix – dopo Marriage Story di Noah Baumbach – fa centro ancora una volta e si appresta ad iscrivere un altro film alla corsa per gli Oscar 2020.