Nella seconda stagione di The Morning Show ritroviamo i protagonisti nella stessa situazione in cui ci siamo trovati tutti, a cavallo tra febbraio e marzo 2020, pochi giorni prima che la pandemia scoppiasse in tutto il mondo. Che a sottovalutare l’incombente, e soprattutto stavolta assai reale, catastrofe fossero i comuni mortali è comprensibile, ma che lo abbiano fatto anche i giornalisti della redazione del più importante network d’America appare oggi un errore clamoroso. Ma anche questo, come sappiamo, è purtroppo accaduto davvero.
I nostri protagonisti non ci fanno proprio una bella figura visto come sono costantemente assorbiti dalle quotidiane lotte di potere, solo intervallate dalle apparizioni video, dove sono sempre sorridenti, e dalle sgomitate dietro le quinte. La seconda stagione inizia praticamente dov’era finita la prima. L’onda del Me Too ha travolto lo show e i vertici dell’UBA, e molti di loro sono senza lavoro ed esiliati da qualche parte nel mondo. Alex Levy (Jennifer Aniston) si è rinchiusa in un cottage ricoperto di neve a scrivere le sue memorie, Mitch Kessler (Steve Carrell) ha trovato riparo in Italia, sulle rive di un lago lombardo. Riparo si fa per dire, visto che di lì a qualche giorno quella zona diventerà l’epicentro mondiale dell’epidemia. Charlie Black (Mark Duplass), il fidato produttore di Alex, si è ridotto a lavorare per una piccola tv locale. Anche Fred, il potente capo del network, è stato messo alla porta, con una liquidazione milionaria.
In sella e ancora al suo posto di conduttrice dello show resta invece Bredley Jackson (Reese Witherspoon), così come hanno salvato il lavoro l’uomo delle informazioni meteo, Yanko (Nestor Carbonell) e Cory Ellisin (Billy Crudup, premio Emmy 2020), il visionario produttore a cui il network ha affidato il compito di risollevare la curva degli ascolti.
È proprio Cory che – di fronte al peggiorare dei dati – decide di richiamare in trasmissione Alex, che dopo qualche tentennamento, accetta. Alex a sua volta richiama in servizio Charlie, è così la squadra si ricostituisce esattamente com’era prima. Perché tutto questo avvenisse abbiamo dovuto attendere ben 4 dei 10 episodi di cui si compone la stagione e che la piattaforma Apple+ trasmette ogni giovedì con cadenza settimanale.
A parte la quarantena a cui è costretto casualmente l’inviato dello show in Cina, il Covid-19 rimane sullo sfondo e fino a questo punto se ne è parlato davvero poco. In compenso sappiamo che ormai siamo prossimi all’esplosione della diffusione del virus. Tutto avrà inizio proprio dal nord d’Italia, dove vive l’inconsapevole Mitch. Colpisce – forse perché lo abbiamo rimosso – vedere com’era la vita “normale” prima del Covid, cioè prima che tutto accadesse.
La seconda stagione è costruita – per la precisione è stata completamente riscritta rispetto alla sceneggiatura originaria – intorno a questo canovaccio, la vita normale sconvolta dall’arrivo della pandemia. Del resto l’informazione televisiva ha avuto proprio grazie al Covid la grande occasione per rilanciarsi. Ascolti e fiducia dei telespettatori sono schizzati in alto come non accadeva da anni.
Il cast di The Morning Show è di assoluto livello. La Aniston è ormai entrata completamente nella parte della giornalista nevrotica, stesso discorso per la Whiterspoon (entrambe ricoprono anche il ruolo di produttrici esecutive). Giusta la scelta di conservare un ruolo centrale a Mitch e quindi a mantenere Steven Carrel (dato in uscita dopo la prima stagione) tra i protagonisti. Da segnalare due donne importanti tra le new entry: Julianna Margulies (E.R. -Medici in prima linea, The Good Wife) nei panni di Laura Peterson, il caporedattore politico dell’UBA, e Valeria Golino nel ruolo di Paola Lambruschini, una rompiscatole regista di documentari, che si mette all’inseguimento del depresso Mitch.
La strana coppia dovrà fronteggiare per prima la pandemia. Inevitabilmente – immaginiamo – dalla prossima puntata il baricentro della nostra storia si sposterà proprio in Italia, nella zona rossa lombarda, quando il segnale di allarme sarà finalmente, anche se tardivamente, percepito dal mondo occidentale in tutta la sua gravità.
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