Inghilterra del Nord. Ai giorni nostri. The Old Oak – la vecchia quercia – è il malandato locale gestito da TJ Ballantyne. È l’unico locale sopravvissuto nel paesino di ex minatori andato in malora, dopo la crisi dell’industria mineraria e il crollo economico che ha portato miseria e povertà ovunque. In questo pub si ritrovano da anni gli amici di sempre, per lamentarsi del presente, per ricordare le battaglie del passato e bersi una birra in santa pace. Ma un giorno, in mezzo a questo statico equilibrio, si affaccia l’apparente minaccia di un gruppo di profughi siriani, in fuga dalla guerra. E d’improvviso il paese si divide.
Dopo aver più volte dichiarato la volontà di andarsene in pensione, Ken Loach ci regala una nuova, vivida e vivace storia di classe. La macchina da presa si insinua tra la nemmeno troppo latente depressione di un paese intero, abbandonato alla disoccupazione e alla rassegnazione, dopo la chiusura delle miniere. Una chiusura annunciata, combattuta inutilmente con determinazione e spirito di solidarietà da un popolo di operai perdenti.
Oggi, a distanza di anni, la vita si trascina senza speranza e senza lavoro. Il cibo scarseggia, l’ottimismo pure. I pochi segnali di vita si esprimono goffamente tra una birra e l’altra, nell’unico pub e punto di ritrovo degli uomini del paese.
Nella desolazione umana e culturale del bar degli ignoranti, l’arrivo dei siriani crea scompiglio e competizione, in una guerra tra poveri che non giova a nessuno.
Lo sguardo di Loach è sopraffino, acutamente antropologico, capace di raccontare le dinamiche della paura, della difesa e dell’attacco che si vedono nella storia del mondo che migra, oggi come ieri. Una storia tragicamente contemporanea che non assolve nessuno, e tantomeno il mondo che stiamo costruendo, tra i comodi cuscini dei nostri divani.
Quando Ballantyne apre le porte del suo locale e del suo cuore ai profughi, l’ottusa e ignorante tribù alza le barricate, minacciata dal nulla e offuscata dal pregiudizio. L’invasione del diverso fa clamore e la stupidità umana si organizza in crociate che sfiorano la violenza. Lasciateci in pace, già che siamo poveri e tristi.
E la storia si ripete. In ogni dove e in ogni quando. E l’uomo, come sempre, si difende come può, sbagliando spesso la cura. Ignorando, come ora, il grido dei più deboli, ancor più deboli dei deboli.
Nel buio della coscienza che il film di Loach ci racconta, la speranza si ravviva, guidata da Ballantyne, uno dei pochissimi che timidamente sceglie la via dell’accoglienza, rompendo il silenzio e l’indifferenza e rischiando il suo piccolo luogo di privilegio. Un povero signor nessuno che riscopre l’umanità dell’essere umano, troppo spesso soffocata dal più che razionale motto nazionalista.
Ballantyne contagia e immagina nel suo pub la mensa dei poveri che tornano a sorridere, anche se spesso il loro sorriso dura troppo poco.
Gran film, a tratti consolatorio ma certamente di buona ispirazione. Un piccolo e potente vaccino contro il virus della bocca chiusa. O di quella aperta a sproposito.
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