Si inizia col botto. “Ogni 26 secondi, in America, avviene un barbaro omicidio. Ne sono stati commessi 7 da quando è iniziato il film”. Dopo questo tranquillo esordio (e un uomo tagliato a fette nella foresta), seguiamo la storia di una coppia di fidanzati, bloccati a Venus, tra i boschi dell’Oregon, per un guasto all’auto. Nel piccolo paesino, gli avventori dell’unico fast food dei dintorni, non sembra troppo amichevole.



Perdersi, perché non va il GPS. Trovarsi in un paesino sperduto, con facce strane che ti guardano come un forestiero. Sentirsi sperduto, fuori dal mondo, improvvisando soluzioni. Rimanere in panne, con l’auto che ti abbandona proprio quando ne hai bisogno. Aspettare il pezzo di ricambio, che va ordinato e che arriverà domani. Arrangiarsi per una notte, nel primo posto che ti capita.



Sono storie di vita quotidiana. Storie che sono capitate a tutti. Storie reali, realistiche, possibili, a volte spiacevoli. Anche se, di solito, almeno nella mia esperienza, tutto si risolve al meglio. Non così in questo film, dove il sangue scorre in abbondanza, sul pavimento, e dove i brutti presentimenti si realizzano con ovvia e puntuale necessità narrativa.

The Strangers – Capitolo 1 è un film al ciclostile, milionesima copia di storie trite e ritrite, reboot dell’omonimo film di Bryan Bertino del 2008. Stereotipo della gita degli innamorati, stereotipo della casa nel nulla, stereotipo del bosco, stereotipo del bar di provincia. Stereotipo dell’horror. E siamo solo al capitolo 1… stereotipo del film che aspira a divenire saga. Non c’è davvero nulla di nuovo nella storia dei due giovani promessi sposi e bellocci che precipitano dal sogno all’incubo. Nemmeno nella messa in scena.



Ma c’è un ma. Si presenta come un horror e lo è. E funziona, nonostante tutto. Scorrono brividi telefonati ma efficaci. Perché la tensione ti azzanna quasi da subito e dopo un’oretta avresti già voglia dell’epilogo, per tornare a casa, tra le quattro amichevoli e rilassanti mura domestiche, con la porta chiusa a chiave, le luci accese e i vicini di casa a darti la buonanotte.

Non c’è nulla di nuovo nella regia (firmata Renny Harlin – Cliffhanger e 58 minuti per morire i suoi più grandi successi), ma quello che c’è è proprio quello che funziona al cinema. Tra silenzi, rumori sospetti, maschere inquietanti, sconosciuti in casa, fughe nella foresta e lame affilate. C’è tutto l’armamentario per apparecchiare un sontuoso omicidio di sconosciuti, colpevoli del fatto di essere stranieri, forestieri, passanti, malcapitati, sfigati, felici, ingenui, inermi e innamorati. Bye bye bellocci, a volte sbagliare strada è un po’ come morire. Il villaggio dei mezzi matti, forse fanatici religiosi, forse barbari cannibali, forse cultori del bosco e dei suoi strumenti da taglio, non ha saputo volervi bene. Il perché lo capiremo nel capitolo 2, se ci sarà una nuova intrigante e sanguinolenta fotocopia. Ah, dimenticavo, è ispirato a una storia realmente accaduta. Buona fortuna, viaggiatori!

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