Nel lontano luglio del 2018, l’esumazione di una serie di tweet controversi portò al licenziamento da parte della Disney di James Gunn, che con i suoi due Guardiani della Galassia aveva portato nuova linfa vitale alla ormai collaudata formula dei film di supereroi Marvel. Il regista sarebbe stato riaccolto dalla casa di produzione circa un anno dopo, ma nel frattempo la DC, storica rivale della Marvel che aveva tentato di emularne il successo al cinema, gli propose di dirigere un sequel/rilancio dello scricchiolante Suicide Squad del 2016, con piena libertà creativa.
Mai scelta fu più azzeccata in casa DC. Certo, a prima vista il soggetto può sembrare più consono a un thriller politico che a un cinefumetto nello stile del regista: un gruppo di criminali incalliti viene assoldato dal Governo statunitense per assassinare il dittatore di un’isola fittizia del Centroamerica, con la promessa di uno sconto di pena e la minaccia di farli esplodere in caso decidessero di scappare. Tuttavia, ogni pretesa di serietà cade non appena ci viene presentata la famigerata “squadra suicida”. Esattamente come aveva fatto con i Guardiani, James Gunn attinge dal pantheon dei fumetti per recuperarne non i personaggi di punta, bensì i più ridicoli e misconosciuti: per citarne alcuni Polka-dot Man (David Dastmalchian), l’uomo a pois; King Shark (doppiato in originale da Sylvester Stallone), letteralmente uno squalo con i piedi; l’ammaestratrice di topi Ratcatcher (Daniela Melchior) e il cinico mercenario Bloodsport (Idris Elba), un leader senza alcuna esperienza da leader.
Non fatevi trarre in inganno da questo cast variopinto: nonostante in Italia il film non abbia limiti di età, chiunque porti i bambini in sala aspettandosi un cinefumetto per famiglie si troverà a lasciare la sala prima che scorrano i titoli di testa. Il bagno di sangue introduttivo stabilisce il tono della pellicola in maniera magistrale, giocando con le aspettative dello spettatore e affermando la propria identità di film non per tutti. L’azione si sussegue in un crescendo di creatività e unicità, con coreografie ben leggibili che valorizzano le capacità dei protagonisti, sequenze che alternano lo splatter a soluzioni visive sempre nuove – come l’utilizzo di elementi animati o scontri ripresi da punti di vista particolari – ed effetti sonori esagerati che ricordano le onomatopee dei fumetti.
Per quanto l’azione sia ben gestita, il maggior punto di forza di The Suicide Squad sta nei suoi personaggi e nelle dinamiche che si generano tra essi, brutali ed esilaranti al tempo stesso. Tutti i membri della squadra risultano ben caratterizzati, da quelli più importanti ai comprimari con una manciata di battute: il personaggio di Idris Elba è il protagonista morale del gruppo, King Shark è la spalla comica, Polkadot-Man è fonte di momenti surreali e perturbanti e così via. Una menzione speciale va a Daniela Melchior, che nel suo primo ruolo di rilievo incarna il cuore del team in un’interpretazione sorprendentemente efficace, e a John Cena, che con il suo Peacemaker dà vita a un personaggio ridicolo e inquietante al tempo stesso, un patriota dalla faccia di bronzo sempre pronto a sacrificare gli altri per la propria nazione.
A questo proposito, James Gunn ha approfittato della libertà creativa concessagli per sferrare una sferzante critica agli Stati Uniti, e all’ipocrisia insita nel suo uso della violenza per quanto concerne le relazioni con altri Stati. Il personaggio più sgradevole non è uno dei tanti sicari o pazzoidi che abbiamo descritto, bensì Amanda Waller, direttrice dell’agenzia sotto cui ricade la squadra suicida, che forte della sua posizione non esita a minacciare, mentire e mettere in pericolo degli innocenti per curare gli interessi del proprio paese. La sequenza più drammatica del film ruota proprio attorno all’eterno dilemma morale che contrappone la sicurezza alla libertà, con uno stallo tra due personaggi la cui dinamica ricorda la celeberrima graphic novel Watchmen.
I paragoni con il capolavoro di Alan Moore si fermano lì, però: pur proponendosi come un cinefumetto irriverente e coraggioso, The Suicide Squad non ha veramente intenzione di approfondire le zone grigie insite nelle sue premesse, e ogni volta che è sul punto di fare qualcosa di veramente controverso si tira astutamente indietro. Non c’è niente di male in questo, e per la maggior parte del tempo il film mantiene il giusto equilibrio tra il serio e il faceto; tuttavia, fa strano trovare una critica tanto marcata a situazioni reali in un film in cui l’antagonista principale è una stella marina – gestita egregiamente, a onor del vero – e i criminali protagonisti, con l’eccezione del Peacemaker di John Cena, hanno la stessa ambiguità morale di una confezione di orsetti gommosi.
Queste piccole discrepanze di tono, in particolare tra la crudezza del contesto e la paciosità dei protagonisti, sono forse il principale difetto della pellicola, assieme alla lunghezza. Il film perde un po’ di mordente nella fase centrale, e le scene incentrate su Harley Quinn (Margot Robbie, già comparsa nel film del 2016), per quanto siano tra le più spettacolari del film, non riescono a integrarsi a pieno con il resto della narrazione.
In conclusione, The Suicide Squad è un film deliziosamente schizofrenico, che intrattiene per la sua durata e riesce nell’intento di distinguersi dal resto dell’offerta supereroistica al cinema. Aggiungo che in questi giorni si è parlato molto della storia produttiva del film, e della libertà offerta al regista per la sua realizzazione, in contrapposizione al maggiore controllo impostogli dalla Disney. Avere carta bianca ha davvero permesso a Gunn di superare il lavoro fatto con i Guardiani della Galassia, o forse è vero l’adagio secondo cui i limiti sono fonte di soluzioni più brillanti? Lascio la decisione ai lettori.
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