Fritz Von Erich, nel 1979, è stato un promettente campione di Wrestling. Non così promettente però da diventare Campione del Mondo nella disciplina sportiva più farlocca al mondo, quando ancora aveva l’età per competere. Accantonato per un attimo il sogno, Fritz si sposa, fa 4 figli e si rimette in pista, come manager allenatore e motivatore, per portare finalmente il trofeo a casa.
Sembra ieri quando Zac Efron (occhi azzurri, babyface e zazzera presuntuosa), raggruppava folle di adolescenti gridanti ai suoi piedi, fresco del successo delle sue opere “maggiori”, come“High School Musical (1, 2 e 3) o Hairsspray – Grasso è bello. Eppure sono passati 15 anni. Dimenticato come teen idol ormai di un’altra era geologica (quando ancora non esisteva Instagram, né TikTok), il buon Zac si guadagna la pagnotta al cinema con opere un pelo più pretenziose. Come questa, firmata da Sean Durkin, regista mestierante al suo quarto lungometraggio.
The Warrior è la storia prodigiosa (e triste) di una famiglia di campioni del Wrestling, uno degli show sportivi più sbalorditivi del pianeta. Una lotta telegenica di muscoli, costumi e brutte parole che si svolge sui ring di mezza America, davanti alle grida di un pubblico barbarico e sottosviluppato che incita alla guerra dei corpi. Uno sport, o una specie di sport, che mescola la forma atletica al teatro, in un mix grottesco che in Italia, mi pare di poter dire, si accaparra l’attenzione di uno sparuto pubblico di ingenui giovinastri. Ma potrei sbagliarmi…
Nel film Zac (Kevin) è il predestinato. Il giovane figlio d’arte di un padre a un passo dal cielo. Frustrato per il suo sogno mancato – quando aveva l’età – e fortemente proteso a portare in famiglia il trofeo massimo del Wrestling. Poco importa se sarà Kevin, o Kerry, o David o il giovane Mike. L’importante è che qualcuno possa esibirlo, questo trofeo, come segno inequivocabile del sogno sacrificale di una vita. Benedetto pure da Dio e dalla sommessa moglie, nonché madre di casa Von Erich.
La storia di questi eroi di plastica è vera, nella realtà, documentata da una raccolta di foto vintage che scorrono a fine film. Una famiglia che appartiene alla storia del Wrestling, quasi più nota per le sue disgrazie che per i suoi successi.
Il film ci porta dentro al regime ricattatorio di un padre padrone che vuole il meglio per i suoi figli, se questo meglio corrisponde al suo personale desiderio, più che a quello della sua famiglia. Una mente manipolatrice e invadente, fondatrice di un regime teocratico di tossica mascolinità. Che nei figli si traduce in timida accondiscendenza che lentamente diventa ossessione e strisciante infelicità fino al dramma, che si moltiplica come una maledizione, discesa pubblicamente sulla famiglia.
Se non vi infastidisce sorbirvi per un paio d’ore la lotta di una schiera di “polletti” gonfiati, satolli di ormone e antibiotici, e tutto il circo attorno (inclusa la paura, la tattica, le trame nascoste, le storie d’amore), il film si può dire che scorra piacevolmente. Secondo i canoni di genere, quello piuttosto collaudato della sfida pugilistica alla Rocky.
Una storia, quella di The Warrior, epica a metà. Una storia tirata fuori dal cassetto che turba assai, mostrando l’anima malvagia e ferita dalla malattia del successo a tutti i costi.
Una storia di famiglia come ce ne sono tante, anche se vissute più nell’intimo delle quattro mura e dei sogni più concreti. Dove, quotidianamente, sono i genitori a scegliere il futuro dei propri figli, condannati a vivere sogni non loro.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.
SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI