Uno dei migliori film del Festival di Venezia 2020 lo troviamo nella sezione Orizzonti. Stiamo parlando di The Wasteland (Dashte Khamoush), diretto dall’iraniano Ahmad Bahrami. Un mattonificio in una località remota, non meglio precisata, produce ancora mattoni in modo tradizionale: nell’azienda lavorano famiglie di etnie diverse e non mancano i momenti di tensione, ma il capo sembra essere in grado di risolvere i problemi, anche grazie all’ausilio del sorvegliante Lotfollah, che funge da tramite tra operai e padrone. Quest’ultimo ha chiesto proprio al 40enne di riunire gli operai davanti al suo ufficio perché vuole annunciare loro che la fabbrica chiuderà, ma il sorvegliante ha un unico pensiero in testa, ovvero proteggere Sarvar, la donna di cui è da tempo innamorato…



In formato stretto ed in bianco e nero, The Wasteland è certamente tra i film più sorprendenti di questo Venezia 77. Un’opera seconda potente, con una regia sopraffina ed una fotografia ammaliante. L’ennesima conferma della vitalità del movimento iraniano, basti pensare al meraviglioso No Date, No Signature di Vahid Jalilvand, vincitore dei premi per la miglior regia ed il miglior interprete maschile alla Mostra di tre anni fa.



The Wasteland è un omaggio al mondo delle fabbriche,  a tutti quei lavoratori senza i quali la civiltà non avrebbe raggiunto l’attuale livello di progresso, come spiegato dal regista, ma non solo. Ci troviamo di fronte ad un film senza luogo, ma soprattutto senza tempo: è un’opera che si presta a numerose interpretazioni.

Assistente di Kiarostami, Ahmad Bahrami riesce a esplorare i tanti mondi che fanno parte dell’universo-mattonificio. Le tensioni tra etnie diverse, tra religioni diverse, le situazioni sentimentali, le difficoltà e le speranze. Ma senza caricature, senza calcare la mano. Con grande naturalezza, anche grazie ad interpretazioni di altissimo livello. Lotfollah è sicuramente il personaggio centrale, un caposquadra sottomesso che però ci racconta molto altro: in lui troviamo un riflesso della società iraniana, il suo ruolo di mediatore tra comunità e capo rispecchia la filosofia del Paese asiatico. E non solo…



Particolarmente sorprendente la scelta del regista di ripercorrere lo stesso evento da diversi punti di vista, ma Ahmad Bahrami spiazza e colpisce lo spettatore anche e soprattutto per i rigorosi e ripetitivi movimenti di macchina orizzontali che vanno a scandire la circolarità narrativa del racconto.