Presentato trent’anni fa al fuori concorso del Festival di Cannes, Thelma & Louise di Ridley Scott, rivisto oggi, ancora incanta per quel sapiente mix di leggerezza e profondità che da sempre caratterizza i migliori prodotti hollywoodiani. Divenuto col tempo un cult-movie, soprattutto presso il pubblico femminile, il film tocca con gli stilemi della commedia – a tratti addirittura screwball, con sconfinamenti nel melodramma – alcuni temi importanti come l’amicizia, il maschilismo, i pregiudizi e al limite la violenza sulle donne, la libertà, la legge senza giustizia ovvero la giustizia ostacolata dalla legge. Non a caso questo singolare road-movie, forse il primo interamente al femminile, fu tanto incisivo da scandalizzare i benpensanti, i più retrogradi dei quali si spinsero a definirlo “femminismo criminale”. Evidenza del fatto che il film colpiva i nervi scoperti di una società americana ancora in larga misura sessista, incapace di accettare l’indipendenza delle donne e valorizzarne l’intraprendenza.
Il racconto inizia con una breve vacanza, una semplice fuga dal quotidiano per diventare, materialmente come metaforicamente, una fuga vera e propria da tutto, definitiva, quasi catartica. Le due donne, scontente dei rispettivi compagni, partono a loro insaputa per un weekend in libertà. Thelma porta con sé anche una pistola, non si sa mai. Ma essendo la sceneggiatura originale molto ben scritta (premio Oscar nel 1992), l’elemento non è messo lì per caso. Come sosteneva il grande drammaturgo russo Anton Cechov, “se nel primo capitolo inserisci un fucile, nel terzo deve sparare”, altrimenti non va menzionato del tutto, aggiungiamo noi. E infatti la pistola spara, Louise uccide il bullo molestatore di Thelma, e da quel momento il film cresce drammaticamente. La gita diventa una fuga in un crescendo di eventi molto ben congegnato.
Dalla legittima difesa le due passano, quasi con gioia, alla volontaria trasgressione della legge, una volta compresa la sua discrepanza con la giustizia, per spingersi infine ai limiti della condotta criminale vera e propria. Il salto finale nel Gran Canyon conclude così, in maniera tragica e commovente come rare volte s’è visto al cinema, il loro percorso di affrancazione. Salto mortale, del cui presunto nichilismo molto si discusse, che non interrompe il viaggio, ma lo rende eterno. Si completa allora il passaggio di Thelma & Louise, inteso come l’intero film, da un testo di cinema a icona immortale dell’immaginario collettivo, proprio come le immagini dei divi morti giovani. Come James Dean o Rodolfo Valentino, fermati per sempre nel tempo della loro divistica gioventù.
Man mano che la storia avanza, la traiettoria visiva del film, al passo con la storica decapottabile di Louise, ritrae le due donne in scenari sempre più aperti, desertici, in strade che fronteggiano lunghi orizzonti lontani; chiara metafora della progressiva liberazione delle protagoniste da tutto quello che si sono lasciate alle spalle. Da un marito idiota che tratta la moglie da serva (Thelma), dal doloroso ricordo di una violenza subita (Louise), dagli stereotipi sessisti in genere. Il tutto accade nei luoghi culto del cinema western classico, con il quale Thelma & Louise confessa una sorta di singolare contiguità. Alla maniera degli autori post-moderni, alle cui schiere Ridley Scott appartiene, questo film giocato sulla frontiera, sia geografica che interiore ai personaggi, omaggia il western classico e l’America sua genitrice percorrendo alcuni dei suoi luoghi simbolo, come già fece magnificamente Alfred Hitchcock con Intrigo Internazionale (1959).
Il film risulta così denso di significati, atmosfere ed episodi epici anche perché basato su una sceneggiatura molto solida. La scrisse l’esordiente Callie Khouri già nel 1980, e nei progetti iniziali avrebbe dovuto anche dirigere il film, con Ridley Scott nei panni di produttore. Diverse coppie di attrici vennero prese in considerazione per i ruoli principali. Meryl Streep e Goldie Hawn visionarono lo script ma poi scelsero altro (l’anno successivo girarono La morte ti fa bella, Zemeckis 1992). La produzione guidata da Scott optò allora per altre due star come Jodie Foster e Michelle Pfeiffer. Ma quando il prolungarsi delle fasi preparatorie fece slittare l’inizio delle riprese finché le due suddette non furono più disponibili, Scott decise di assumere personalmente la regia e di scritturare la coppia Davies & Sarandon. Per fortuna. Oggi, visti i risultati, non sapremmo immaginarci attrici migliori nel dare quella presenza scenica e quello spessore psicologico ai personaggi divenuti mitici di Thelma & Louise. I cult-movie nascono anche da “casi della vita” come questi.
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