La nuova puntata della politica inglese a tre anni dal referendum sull’uscita dall’Unione europea è rappresentata dalle dimissioni di Theresa May; un’evoluzione che in realtà sembrava inevitabile già qualche mese fa, quando la data dell’uscita della Gran Bretagna dell’Unione veniva posticipata mentre il Parlamento inglese viveva momenti che non si erano sostanzialmente mai visti. Il referendum del 2016 e il fallimento delle trattative per un’uscita ordinata dall’Unione europea oggi sono temi che attraversano la politica britannica e con cui tutti devono fare i conti.
È vero che questa non è la prima volta che consultazioni popolari a oggetto l’Unione europea sono state ignorate o ripetute fino all’esito “giusto”, però la situazione inglese è particolare sia per lo stato speciale della Gran Bretagna all’interno dell’Unione europea, soprattutto con la conservazione della sovranità monetaria, sia per l’impatto “politico” di un referendum che ha polarizzato la vita politica del Paese per almeno sei mesi prima del voto e poi per tre anni fino agli ultimi mesi.
Oggi abbiamo partiti che al loro interno sono attraversati da “correnti” di favorevoli al “remain”, favorevoli al “leave” con diversi gradi di convinzione e soprattutto un nuovo partito “Brexit” che ha scompigliato le carte. È assolutamente possibile che il fenomeno sia passeggero, ma il tema “Brexit” è destinato a rimanere al centro del dibattito politico e a spostare i partiti tradizionali; ieri, per esempio, si dava conto dei tentavi di spostare il Labour, in quanto tale, sul remain. Una posizione comunque rischiosa perché, almeno tre anni fa, il 50% degli elettori era a favore del leave; esclusa Londra e qualche altra grande città, il leave godeva di consensi ben superiori facendo chiaramente intendere che le preferenze attraversano i partiti tradizionali.
È possibile che si riesca a ignorare e a far, in qualche modo, dimenticare il voto del 2016, ma è non è un’operazione a costo zero per i partiti tradizionali, soprattutto se l’Unione europea dovesse vivere fasi complicate o se il contesto internazionale spingesse gli elettori su posizioni “populiste”. Sembra invece oggi più probabile che si arrivi a un nuovo “elemento politico”, anche banalmente nuove elezioni, in cui il tema Brexit diventi il metro di paragone per tutti.
In una fase geopolitica estremamente complicata, scossa dal confronto sempre più acceso tra Cina e Stati Uniti diventa difficile fare previsioni anche per gli effetti di questo confronto sull’Unione europea; oggi è una costruzione molto rigida e con poche leve per reagire a una crisi che non siano la solita valvola di sfogo dell’austerity/deflazione per la periferia. La contemporaneità del tema Brexit nella politica inglese e della sfida che l’Unione europea deve affrontare in questa fase geopolitica non consente di escludere alcun scenario per quanto improbabile. Alla fine la capacità dell’Unione europea di generare benessere per tutti i cittadini europei, di rispondere alle sfide economiche e politiche è quello che si continuerà a guardare in Gran Bretagna. A partire dal 27 maggio.