Thomas Piketty ha pubblicato un nuovo libro: lo ha presentato via Zoom – come oggi purtroppo bisogna fare – si chiama Capitale e ideologia e su Open compare la trascrizione dell’intervista. La tesi di fondo è che si debba avere un’opinione sull’economia per essere cittadini responsabili e cambiare le cose. Da qui è nata una discussione che ha toccato vari temi, a cominciare ovviamente da una riforma del sistema economico: possibile per Piketty, a patto che la generazione degli anni Ottanta inizi a parlare e mettere in atto il progresso. “Le generazioni precedenti sono state talmente traumatizzate dal crollo dell’Unione Sovietica che hanno smesso di pensare a delle alternative” ha detto, criticando anche il Trattato di Maastricht che lui pure – all’epoca ventunenne – ha votato. “Eravamo molto arrabbiati con il comunismo e credevamo che il mercato, la competizione, il merito avrebbero funzionato”. Poi ci si è spinti troppo oltre ha detto, e ora quel trattato è verosimilmente un errore.



THOMAS PIKETTY SU CORONAVIRUS E GEORGE FLOYD

Naturalmente c’è stato il tempo di parlare della pandemia da Coronavirus, che per Piketty non può ancora essere considerata come una fine della prima fase di globalizzazione perché ne inizi un altro: il paragone è con la crisi del 2008 che non ha portato ad una trasformazione, oggi c’è entusiasmo per il Recovery Fund ma il risultato potrebbe essere lo stesso. In più, la pandemia è stata casuale e questo non va bene agli esseri umani: “non amano il caso, vogliono dare un significato a tutto. L’ideologia serve a questo e io conservo una certa simpatia per l’argomento: non condanno una società che non vuole risposte”. Poi una battuta sul tema George Floyd, che oggi è di grande attualità: secondo l’autore questi casi succedono in America perché “non esistono un reddito di base, una rete di sicurezza e un sistema sanitario pubblico”. Non è tanto una questione di razzismo quanto di mescolanza con il tema sociale: entrambi gli schieramenti, dice Piketty, sono sempre stati caratterizzati da una diffidenza verso il welfare state di cui gli afroamericani avrebbero certamente beneficiato.



“A volte ci piace vedere gli Usa come il regno delle disuguaglianze ma è stato anche l’opposto” ha poi detto l’autore. Che ha ricordato il caso della Svezia – già citata in precedenza per l’altissima mortalità da Coronavirus – che, celebrata come paladina dello stato sociale, oggi si dimostra “molto egoista verso la solidarietà europea”. Tanto che in Polonia i nazionalisti hanno dimostrato di avere un apertura maggiore. “Ogni Paese è più di un’unica storia” la conclusione di Thomas Piketty, e anche per questo motivo forse l’Unione Europea per come è concepita adesso, come lui stesso ha detto, avrebbe bisogno di qualche profonda modifica.

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