Tutto ebbe inizio da un muro. Adesso che è morto Li Peng (lo scorso 22 luglio), primo ministro della Repubblica Popolare cinese dal 1987 al 1992, ci si interroga ancora sui tragici fatti di piazza Tiananmen, accaduti nel giugno di trent’anni fa. Ci si chiede soprattutto, in un mondo ancora pre Internet e in un paese chiuso per antonomasia come era la Cina di allora, come si fosse diffusa quella voglia di democrazia che consegnò alla storia il movimento studentesco che dal 15 aprile al 4 giugno occupò la tragicamente famosa piazza di Pechino. “È un discorso molto complesso” ci ha detto Francesco Sisci, sinologo, editorialista di Asia Times, per anni corrispondente dalla Cina. “Si può riassumere ricordando alla fine degli anni 70 nel partito si parlava della “quarta modernizzazione”, la democrazia. E poi proprio in quegli anni ci fu un movimento popolare che chiedeva la democrazia e passato alla storia come ‘il muro di Pechino’”. Allora, ci ha spiegato, “si discuteva molto in Cina di riforme economiche e c’era un settore del partito che premeva anche per riforme politiche in chiave democratica”. Fu a partire dal dicembre 1978, quando vinse la linea riformatrice di Deng Xiaoping, contro i più prudenti guidati da Hua Guofeng, che riprese anche il dibattito sulla democrazia.Alla fine degli anni ’70, sul muro della strada di Xidan a Pechino. Queste idee erano del resto un fiume carsico della Cina, che ogni tanto emergono per poi continuare a scorrere sotto traccia. La rivoluzione del 1919, che per la storia cinese diede inizio al periodo moderno, si fece gridando per democrazia e scienza.  Così anche dopo gli anni ’70, quando il movimento di Xidan venne represso, quelle idee continuarono a circolare “nella società, fino ad animare dieci anni dopo, a quel movimento studentesco che peraltro aveva molte altre radici e componenti”.



LA STRAGE DEGLI STUDENTI

Il nome di Li Peng rimarrà per sempre legato agli avvenimenti della notte del 4 giugno 1989: “Per molti anni la Cina ha pensato a quel fatto, convincendosi lentamente, compresi gli ex studenti di piazza Tiananmen, che quella repressione era stata necessaria, anche se mai ci si è riconciliati con la perdita di vite. Pochi mesi dopo infatti avrebbero assistito all’inizio della fine dell’impero sovietico e alla fine dell’Urss. Per molti anni i cinesi si sono convinti che la Cina aveva evitato quel destino, anche i disastri economici e sociali dei paesi dell’ex impero sovietico che sono stati a lungo in una situazione economica difficile. Pur se sanguinoso, quel gesto appariva dunque storicamente sensato”. E oggi? “Trent’anni dopo la situazione complessiva è molto diversa, ora vedono che molti ex paesi sovietici come la Polonia o la Repubblica Ceca stanno crescendo e procedendo con un’economia positiva. Vedono anche che alcuni problemi che oggi ci sono a Hong Kong derivano proprio dalla differenza enorme che c’è tra il sistema di Pechino e quello dell’ex colonia britannica”. Al di là dell’uso della violenza eccessiva quella repressione è stata giustificata dalla storia? “Li Peng è morto in un momento delicatissimo in cui la Cina quasi con un’altra curva ha cominciato a ripensare Tiananmen. Il Partito comunista nel suo obituario ufficiale ha detto quasi come monito anche a Hong Kong che la ‘pacificazione’ fu giusta, mettendo fine ‘a una rivolta violenta controrivoluzionaria’. La posizione ufficiale è che quella repressione fu giusta”. Fatti tragici che sono il prezzo che la storia, in alcuni momenti, chiede senza guardare in faccia a nessuno. Ma forse oggi si comincia anche a pensare che la storia avrebbe potuto prendere un’altra piega.

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