L’azienda biotecnologica statunitense Thermo Fisher ha deciso di interrompere la vendita dei suoi kit per l’identificazione del DNA in Tibet, regione tecnicamente autonoma da sempre al centro di rivendicazioni da parte della Cina. E proprio il governo cinese potrebbe essere una delle ragioni per cui l’azienda statunitense ha deciso di interrompere le vendite, anche se non sono state rilasciare conferme o smentite in merito.



I kit per il DNA che veniva venduti in Tibet, nell’idea dell’azienda biotecnologica servono soprattutto all’interno delle indagini forensi per escludere o confermare la colpevolezza di un sospettato confrontandone rapidamente il genoma con il test. In ballo, nella sola regione tibetana, c’era un giro d’affari per la Thermo Fisher dal valore di 160mila dollari (dati del 2022), mentre la Cina è il secondo mercato più grande per l’azienda al di fuori degli Stati Uniti, da un valore (sempre nel 2022) di oltre 3,8 miliardi di dollari (3,4 nel 2021). L’interruzione della vendita di kit per il DNA in Tibet, secondo il Guardian, potrebbe essere collegata alle numerose denunce da parte di diverse organizzazioni umanitarie secondo cui i test sono utilizzati dalla Cina per profilare e schedare i cittadini tibetani.



La posizione degli attivisti sull’uso persecutorio da parte della Cina dei kit del DNA in Tibet

Ufficialmente, la Thermo Fisher non ha spiegato come mai abbia deciso di interrompere la vendita di kit per il DNA in Tibet, ma è probabile che sarà giustificata allo stesso modo in cui fu spiegata l’interruzione delle vendite nella regione cinese occidentale dello Xinjiang. Quel mercato, infatti, dove la Cina è stata più volte accusata di violazione dei diritti dell’uomo nei confronti della minoranza uiguri, violava il codice etico dell’azienda, ma anche in questo caso senza specificarne le motivazioni effettive.



A livello sociale, invece, sono stati parecchi gli osservatori dei diritti umani che hanno espresso dubbi sul modo in cui la Cina usasse i kit per il DNA in Tibet, paragonando la condizione dei cittadini locali a quella degli abitanti dello Xinjiang.  Secondo Human Rights Watch i test erano usati per la raccolta di massa del DNA, anche nei confronti di bambini di 5 anni, mentre Citizen Lab ha stimato che circa un terzo della popolazione abbia consegnato campioni del suo genoma, talvolta inconsciamente. Dal conto suo (ovviamente) la Cina ha negato ogni accusa riguardo l’uso strumentale e persecutorio dei kit del DNA in Tibet, sottolineandone l’importanza nel “rintracciare i bambini scomparsi e combattere il traffico di esseri umani”.