LA CENSURA DELLA CINA: VIETATO IL RICORDO SU PIAZZA TIENANMEN, 33 ANNI DOPO
33 anni fa in Piazza Tienanmen il mondo si rese conto che nella per troppi anni “ammirata” Cina comunista, il regime “popolare” era nient’altro che un’altra faccia della medesima medaglia totalitaria vista e stravista nel corso delle ideologie del Novecento. Dal 15 aprile al 4 giugno 1989 le proteste di migliaia di cinesi venne represse nel sangue in Piazza Tienanmen a Pechino, la piazza più grande della Cina e che divenne per sempre il simbolo della mancata libera in terra d’Oriente.
Fucili d’assalto e carri armati direttamente contro i manifestanti che contestavano la mano pesante del regime: le cifre esatte, ancora oggi dopo 33 anni fa dalla strage, non si hanno per volere specifico del regime che tentò di insabbiare immagini e materiale di quei giorni di sangue. Secondo diversi storici e osservatori internazionali, con i giorni di protesta a Pechino vi furono almeno migliaia di vittime, con altrettanti incarcerati o feriti. Oggi però, con ancor più forza rispetto al recente passato, la Cina ha vietato qualsiasi evento di ricordo e memoria di quei fatti: la censura da Pechino a Kong Kong, passando per Shanghai e Shenzen, ha imposto un cordone di sicurezza in tutte le aree del Paese per impedire la celebrazione e commemorazione pubblica di Tienanmen. Dalla stessa piazza di Pechino fino a Victoria Park in Hong Kong – dove fino a due anni fa si assisteva a manifestazioni al lume di candela per ricordare la strage del 1989 – è rimasto tutto deserto, tutti con il timore di poter essere arrestati nel solo accennare una minima commemorazione.
HONG KONG E TAIWAN, LE “PICCOLE” RESISTENZE
Negli anni scorsi il 4 giugno era una sorta di occasione “simbolo” per chiedere maggiori libertà anche a Hong Kong, proprio per evitare il ripresentarsi dei tragici fatti del 1989 in Piazza Tienanmen: tutto inutile visto quanto avvenuti negli scorsi mesi, con il regime cinese che ha preso pieno controllo anche di Hong Kong e punta ora ad annettersi anche l’isola ribelle di Taiwan.
Il regime sta tentando di cancellare la memoria dei cinesi (e del mondo intero) arrivando a considerare Tienanmen uno “spiacevole evento” dove la Cina si vide costretta ad intervenire contro ribelli sabotatori. Ma davanti all’imponente uso della censura e al divieto più categorico di accennare pubblicamente ai fatti di Piazza Tieanmen, un piccolo – anche se molto fragile – tentativo di resistenza civile è in corso da giorni. Prima gli studenti dell’Università cinese di Hong Kong che hanno disseminato l’ateneo di minuscole statue da max 10 centimetri raffiguranti la Dea della democrazia: una di loro, ai media internazionali (con nome di fantasia per evitare di essere riconosciuta dalle autorità filo-cinesi) spiega «È una sorta di ribellione. L’Università ci ha derubati della nostra statua, così abbiamo deciso di farne una nostra versione e di rimetterla al suo posto. Per noi la Dea della democrazia ha un significato politico, ma soprattutto emotivo». Poi l’iniziativa dei consolati di Stati Uniti e Unione Europea che hanno acceso candele sulle finestre dei propri edifici nella notte tra il 4 e il 5 giugno proprio per non far dimenticare quanto avvenuto a Pechino solo 33 anni prima; e infine, la scelta di Taiwan – che teme un’invasione da un momento all’altro – di contestare la Cina anche sul caso Tienanmen. Centinaia di persone si sono radunate a Taipei per ricordare la repressione cinese dei manifestanti pro-democrazia: «È un simbolo di come la democrazia sia preziosa e fragile allo stesso tempo e di come le persone che hanno a cuore la democrazia devono difenderla, altrimenti gli autoritari di tutto il mondo penseranno che alla gente non importi», spiega l’organizzatore dell’evento, Jeremy Chiang, 27 anni. Sempre Taiwan ha eretto una nuova versione del “Pilastro della Vergogna”, una statua che commemora i manifestanti di Tienanmen che una delle principali università di Hong Kong ha rimosso dal suo campus dopo 20 anni di presenza, lo scorso dicembre. La censura e l’ideologia crescono e non diminuiscono col passare degli anni, ma finché qualche “minima” resistenza resterà presente anche la libertà dal potere avrà un lumicino di speranza per il futuro.