TikTok accusata di istigazione al suicidio

TikTok, il celebre social cinese di proprietà di ByteDance, è stato citato in giudizio in Francia dai genitori di una 15enne che si è suicidata nel 2021. La tragedia è avvenuta nella città di Cassis, in Costa Azzurra, il 16 settembre, quando i genitori della ragazzina, Marie, l’hanno trovata impiccata nella sua cameretta. Secondo la denuncia dei genitori, la causa sarebbe da ricercare nel funzionamento dell’algoritmo del social, che ha intensificato gli stati d’animo negativi della giovane.



L’accusa, infatti, sostiene che due settimane prima del suicidio, la 15enne aveva affidato ad un video su TikTok il racconto della propria sofferenza per via dei ripetuti casi di bullismo subito a scuola a causa del suo peso. A quel punto, però, invece che suggerirle contenuti più sereni o un aiuto professionale, l’algoritmo si è rivelato un moltiplicatore della sua sofferenza e di pessimi consigli, gettandola in un baratro di disperazione e depressione. “L’algoritmo”, denuncia la famiglia, “l’ha indotta a stare ancora più male. TikTok ovviamente ha la sua parte di responsabilità” perché “i social giocano un ruolo importante di fronte a un adolescente che è già estremamente fragile psicologicamente a causa delle molestie subite”.



Le altre citazioni in giudizio per TikTok

Insomma, TikTok finirà sul banco degli imputati per la prima volta anche in Francia, mentre nel resto nel mondo conta già diverse citazioni. Poco tempo fa, infatti, un caso simile a quello della 15enne francese era arrivato anche sui banchi dei tribunali americani, mentre aveva fatto anche molto scalpore la storia di Lindsay, che si era uccisa nel 2022 secondo i suoi genitori a causa di Facebook e Instagram. Negli USA, invece, una scuola ha citato in giudizio TikTok con l’accusa di “danneggiare” la psiche dei giovani, mentre a luglio si era discusso parecchio del caso delle due bambine che per fare una challenge che consisteva nel trattenere il respiro fino alla svenimento. Anche Pinterest è finito in tribunale nel Regno Unito per aver causato il suicidio della 14enne Molly, con la giustizia inglese che diede ragione alla famiglia.

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