Lo spionaggio di TikTok ai danni di alcuni specifici cittadini statunitensi, denunciato da un’inchiesta di Forbes, è uno delle migliaia di episodi di una forma particolare di conflitto. Nell’ambito dell’intelligence si parla della “zona grigia” come di quella vasta area di operazioni che separa le normali attività degli Stati dallo scontro militare. Tutto quanto avviene in questo spazio ha fondamentalmente l’obiettivo di ottenere un vantaggio a lungo termine, per esempio facendo in modo che l’avversario prenda una decisione sbagliata o non la prenda affatto, oppure condizionando l’opinione pubblica. Il tutto evitando una guerra aperta.
In questo ambito rientrano operazioni commerciali, politiche, anche militari, ma oggi soprattutto connesse alle informazioni e proprio in questo ambito le intelligence di tutto il mondo si trovano ad affrontare i problemi più gravi.
Il primo è di tipo quantitativo, poiché nell’ultimo decennio i dati prodotti su scala globale sono aumentati di trenta volte e nel prossimo triennio si prevede che almeno raddoppino. Il secondo è di carattere qualitativo, perché se anche si fosse abbastanza bravi da riconoscere le informazioni utili nel rumore di fondo, non è detto che si riesca a farlo quando servono e con la giusta accuratezza. Il terzo è l’ovvio tentativo degli attori presenti di depistare con false informazioni gli avversari. Il quarto è la presenza sulla scena di attori che Stati non sono, ma operatori privati i quali hanno a disposizione una quantità di informazioni che per qualità e quantità è in molti casi superiore a quelle di qualsiasi organizzazione statale. Tuttavia, un accesso indiscriminato a queste basi dati da parte dei Governi solleverebbe, almeno nei Paesi democratici, questioni in materia di privacy da fare tremare i polsi.
Il risultato finale può essere sintetizzato nella formula “il condizionale è ormai sempre d’obbligo”, la conseguenza è che “si decide più di pancia che di testa”. Di solito le cose spiacevoli capitano proprio con queste premesse.
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