È una soap opera che ha stancato quella di Tim. Si guarda al dito e non alla Luna, ai manager e non ai piani, alle strategie, al futuro” (Mila Fiordalisi, direttore di CorCom, 27 novembre 2021).

In nessun Paese europeo esiste un’industria o un settore strategico che abbia vissuto le peripezie e le stranezze societarie del gruppo Telecom. Considero TIM una delle più profanate grandi imprese italiane: il verbo profanare suona appropriato perché rimanda all’immagine di chi entra nel tempio non essendo adatto o fa ingresso con modalità non idonee” (Vito Gamberale, manager TIM anni ’90, 22 novembre 2021).



Tim, una società allo sbando. Senza un capo azienda, con i soci che non concordano su niente e conti in profondo rosso” (Dagoreport, 22 dicembre 2021).

Sono momenti molto travagliati per l’azienda Telecom Italia. Molti media ne stanno trattando: l’annuncio dell’OPA del fondo di investimento americano KKR, l’uscita dell’amministratore delegato Gubitosi, dopo tre profit warning, il “risvegliarsi” di Vivendi, che, in questo momento, sembra essersi alleato con Cassa depositi e prestiti (Cdp), ecc.



Ma qui noi vorremmo trattare dei lavoratori di questa grande – una delle poche di queste dimensioni – azienda italiana. Al termine del 2021, dovrebbero essere circa 38 mila, in Italia, considerando tutte le uscite degli ultimi anni, con i meccanismi della Legge Fornero, concordate con il sindacato e circa 5 mila in Brasile. Come stanno vivendo questa ennesima crisi? Ne cogliamo alcuni aspetti.

Il primo aspetto di cui tener conto è una semplice constatazione: sono cambiati quattro amministratori delegati in sei anni. Ma ogni volta che si cambia un AD, l’azienda subisce necessariamente una profonda ristrutturazione: l’AD decide, legittimamente, una nuova prima linea di dirigenti, che qualche volta, arrivano da aziende esterne e hanno bisogno di un certo periodo di ambientamento. Un’azienda è come un organismo vivente, i processi decisionali, di comunicazione, di collaborazione, di interazione, ecc. che occorre innescare e gestire hanno bisogno di tempo per entrare a regime. Far lavorare circa 45mila persone perseguendo uno stesso obiettivo, secondo certe modalità predefinite, è tutt’altro che scontato. Chiedere di cambiare prospettiva e modalità di lavoro ancora di più. Ovviamente, il cambio di dirigenza non cambia la mission aziendale, ma le maniere di tradurla in atto, sono state spesso molto diverse. La flessibilità dei lavoratori è veramente encomiabile, in questo senso, ma è facile constatare che i troppi messaggi di “novità” ricevuti (ogni nuova dirigenza sostiene, all’inizio del suo mandato, di conoscere la soluzione giusta) diventino pretesto per un diffuso scetticismo o cinismo. E questo, nel tempo, non permette di lavorare con energia, con passione e dedizione.



Diventa perciò veramente “miracoloso” quando invece questa dedizione e questa appartenenza aziendale ancora si manifestano. E questi casi in TIM sono tutt’altro che sporadici o isolati.

Un altro aspetto che ha avuto un fortissimo impatto sulle modalità di lavoro è stato, in questo periodo di pandemia, lo smart working. TIM è stata fra le prime aziende italiane a mettere in smart working, dal marzo del 2020, praticamente quasi tutti i propri dipendenti, eccetto chi opera fisicamente sulla rete o deve andare fisicamente dal cliente, per esempio, per una riparazione. E senz’altro questa modalità di lavoro da casa è stata largamente apprezzata dai dipendenti.

Allo stesso tempo, l’azienda ha colto l’occasione di questo periodo di sedi aziendali vuote per forzare i tempi di una profonda ristrutturazione fisica degli ambienti di lavoro, già studiata da tempo, e influenzata da modelli americani di qualche anno fa.

Nei primi anni del 2000, una delle grandi operazioni finanziarie, della gestione Tronchetti Provera, è stata la vendita degli immobili di proprietà Telecom a terzi, operazione gestita da Pirelli Real Estate (che in quel periodo, divenne la prima real estate nazionale). Gli immobili ospitano gli uffici aziendali, dove lavorano i dipendenti o le sedi delle centrali, dove sono alloggiati gli apparati di rete di telecomunicazioni. L’incasso della vendita permise un rientro parziale dal debito, da cui Telecom è gravata dall’epoca della privatizzazione. Ma, da quel momento in poi, l’azienda ha iniziato a pagare degli affitti per immobili che una volta erano suoi…

Perciò, la nuova amministrazione Gubitosi ha pensato di risparmiare sugli affitti, riducendo gli immobili, in base a due tipi di ragionamenti: da una parte, la sempre più spinta integrazione degli apparati di rete permette di occupare molto meno spazio di un tempo, a parità di operazioni svolte e quindi è stato messo in atto un piano nazionale di dismissioni di sedi aziendali di apparati di rete; dall’altra, la nuova modalità di smart working permette di risparmiare sugli spazi dedicati agli uffici, perché una parte dei dipendenti rimane a casa.

È però necessario osservare che la ristrutturazione degli uffici è stata fatta in modo veramente drastico: non esiste più un proprio spazio personale dedicato per singolo dipendente. Ognuno può usufruire di postazioni comuni per connettersi alla rete aziendale con il proprio PC, che però deve essere portato via per lasciare la postazione disponibile per qualcun altro.

Sarebbe interessante sapere, a questo punto, la capienza massima di posti di lavoro nelle sedi rimaste in uso a TIM: certamente, il calcolo, che è stato fatto, è che una percentuale significativa di dipendenti lavori permanentemente da casa, anche in un futuro post-pandemia.

Tutto questo certamente abbatte i costi. È fuori discussione la scelta di ridurre gli immobili per le centrali di apparati di rete, vista la drastica riduzione di spazi che le moderne tecnologie consentono, ma questa nuova fisionomia degli uffici permette veramente di lavorare efficacemente? Permette di collaborare, coordinarsi, discutere, approfondire? C’è una dimensione del lavoro, non secondaria, che ha bisogno dell’incontro, della fisicità, dell’essere fianco a fianco. Invece si sono organizzate le cose in modo tale che d’ora in poi, sarà sempre necessario usare la videoconferenza per il lavoro di gruppo.

Si segnala sempre più spesso, attualmente, che nelle videoconferenze di lavoro diventa normale non accendere la propria telecamera: così il rapporto con gli altri colleghi diventa sempre più anonimo, spersonalizzato. Questo certamente non favorisce l’interazione sul lavoro.

Il terzo aspetto sono i sindacati. I sindacati di settore Slc-Cgil Fistel-Cisl Uilcom-Uil hanno già da qualche tempo lanciato l’allarme. Nel comunicato del 22 dicembre si legge: “(…) Oggi Tim è un bastimento che naviga senza una rotta, ma su quel bastimento ci sono oltre 40.000 lavoratori ed alcuni degli asset fondamentali per lo sviluppo del nostro Paese. Il tempo non può scorrere invano. Il Governo in primis ha il dovere di assumere un orientamento a tutela dell’occupazione e degli interessi nazionali, visto che l’eccesso di mercato è la causa e non la soluzione dei problemi. Ribadiamo quindi l’urgenza di rendere comprensibili e trasparenti i processi in atto. Infine, chiediamo che in questa fase di stallo non si compiano atti unilaterali da parte aziendale che possono compromettere una soluzione positiva e condivisa. Allo stesso modo il Governo non può a parole invocare il ruolo pubblico sulla rete e poi apprestarsi a cofinanziarne nuovi lotti che, una volta realizzati, resteranno nella disponibilità dei privati”.

Purtroppo, i sindacati sembrano non trovare alcuna sponda a livello politico. La politica, in questo momento, tace: a noi sembra anche per evidente ignoranza dei problemi di questo settore industriale. Gli unici a gestire questo scottante dossier sono i tre ministri appartenenti al comitato nominato da Draghi: Giancarlo Giorgetti dello Sviluppo economico, Vittorio Colao della Transizione digitale e Daniele Franco dell’Economia.

Il 22 dicembre, alla conferenza di fine anno, il Presidente del Consiglio Draghi ha risposto a una domanda sul futuro di TIM. “Ci sono tre cose, ha ribadito Draghi, “che il Governo deve tutelare nel futuro dell’assetto societario di TIM: l’occupazione, l’infrastruttura, cioè la rete e la tecnologia perché all’interno della società ci sono delle realtà tecnologiche di primo ordine. Quindi ora noi dobbiamo vedere quello che sta succedendo perché ancora non è chiaro che cosa stia succedendo. La configurazione societaria che verrà creata o a cui si perverrà attraverso l’azione degli azionisti attuali o attraverso anche l’azione di Governo dovrà permettere il raggiungimento di questi tre obiettivi. In questo quadro”, ha sottolineato il Premier, “non c’è una strada predeterminata e il Governo non è in condizione di definire una strada o meno. C’è un’OPA della quale non si conoscono ancora le caratteristiche”.

Risposta estremamente interessante e tutt’altro che generica, perché esplicitamente afferma che TIM rappresenta un asset fondamentale per il sistema-Paese, che la sua tecnologia è strategica e che quindi di fronte a questi temi il Governo non può rimanere neutrale (come una concezione liberista di mercato pretenderebbe).

Ci sarebbero tante osservazioni da fare, che ci riserviamo di esplicitare in futuro. Per ora rispondiamo alla domanda: a cosa si riferiscono i sindacati, quando ipotizzano “atti unilaterali”? Probabilmente, sono alcune procedure propedeutiche in cantiere nell’ex monopolista per iniziare a ridisegnare il perimetro del personale in vista di uno scorporo della rete. Sembra facile prevedere perciò, come i sindacati stanno predicando nel deserto, che saranno mesi molto complicati per i dipendenti TIM.

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