MEF E KKR FIRMANO L’ACCORDO SU TIM: IN COSA CONSISTE
Alla fine l’accordo su Tim si è trovato ed è tutt’altro che “made in Italy”: nella serata del 10 agosto il MEF annuncia la sigla del Memorandum of Understanding (MoU) fra il Ministero dell’Economia e delle Finanze con Kkr, il fondo Usa di Pietro Labriola. «L’accordo prevede la formulazione di un’offerta vincolante che stabilisce, tra l’altro, l’ingresso del Mef nella Netco nella percentuale fino al 20%», si legge nello stringato comunicato del MEF guidato dal Ministro Giancarlo Giorgetti.
I termini dell’offerta su Tim, dal punto di vista dei rapporti tra le parti, conclude la nota, «prevedono un ruolo decisivo del governo nella definizione delle scelte strategiche. I prossimi passaggi saranno relativi all’adozione di un Dpcm per completare l’iter procedurale». L’offerta vincolate stabilisce così l’ingresso dello Stato in Tim con una quota però che non potrà superare il 20% della Netco, la società della rete che racchiude l’asset di rete fissa, le attività Wholesale domestiche e quelle internazionali di Sparkle. Nei fatti, entro fine 2023 la Netco potrebbe finalmente prendere “vita” grazie all’acquisto di Kkr e la discesa in campo del MEF: la mossa americana rende difficile la vita per Vivendi che non potrà opporsi al patto per chiudere definitivamente la partita sulla ex Telecom, anche se – avvertono gli analisi – la società francese potrebbe tornare a farsi sentire in assemblea soci Tim.
FONDI E GOVERNANCE, COSA CAMBIERÀ ORA NELLA RETE TIM
Secondo le prime stime presentate nelle scorse ore dal “Sole 24 Ore” i fondi che il Ministero dell’Economia dovrà trovare si aggirano tra i 2 e i 2,6 miliardi di euro: Kkr deve ora completare gli accordi per il finanziamento dell’operazione da circa 23 miliardi di euro e, secondo indiscrezioni di “Milano Finanza”, l’impegno delle banche dovrebbe arrivare entro il 30 agosto.
A quel punto il fondo avrà un mese di tempo per completare l’offerta vincolante (entro il 30 settembre) con il primo cda Tim che si riunirà ad inizio ottobre per valutarla: «Se riterrà necessario chiamare i soci al voto in assemblea, come chiede Vivendi, entro la fine dell’anno si potrebbe arrivare alla resa dei conti», rileva TgCom24. L’obiettivo del Governo Meloni (e prima di quello Draghi) era quello di mantenere comunque una quota italiana pubblica per un asset strategico come la rete Tim, anche se l’accordo con Kkr apre ad una maggioranza che sarà inevitabilmente estera: nel complesso si potrebbe arrivare ad un 35% “italiano” nella Netco, il 20% col MEF, il 5% a Cassa Deposti e Prestiti di Scannapieco e il 10% per il fondo infrastrutturale F2i guidata da Renato Ravanelli. Come scrive ancora M&F, «Da chiarire se ci sarà, e nel caso in quale misura, un ruolo anche per la stessa Tim in Netco. […] Come spiegato dallo stesso ad Pietro Labriola l’interesse della società risiederebbe nella cessione integrale della rete. Secondo quanto risulta, qualora arrivasse una richiesta diretta del Tesoro di mantenere una quota per riuscire a concludere l’operazione, il gruppo la valuterebbe».