Tra le tante (forse tantissime) figure di spicco della nostra lunga storia repubblicana sicuramente un posto d’onore spetta a Tina Anselmi, ricordata oggi per essere stata la prima donna ad assumere il ruolo di ministro e anche – se non soprattutto – per aver firmato la prima Legge per le pari opportunità: una svolta a dir poco secolare che permise in un contesto storico abbastanza difficile di dare pieno compimento agli articoli 3, 37 e 51 della nostra bella Costituzione; rimasti fino a quel momento poco più che parole impresse su di un foglio di carta. Ad oggi la Legge per le pari opportunità è diventata una certezza e seppur non possiamo dire che l’obiettivo che si era fissata Tina Anselmi sia stato raggiunto al 100%; se tornassimo con la mente quei difficili anni ’70 scopriremmo una situazione ben diversa e sicuramente peggiore.
Per capire il senso e il valore di quel decreto legge (era il 903esimo del 1977) dobbiamo proprio tornare a quegli anni in cui la disoccupazione femminile era alle stelle e rimaneva in vigore una vecchia legge fascista istituita nel 1934 che – di fatto – sanciva la netta differenza tra uomini e donne nel mondo del lavoro: i primi erano visti come degli instancabili lavoratori; mentre le seconde erano le protettrici del ‘focolaio domestico’. Dalla sua posizione privilegiata di prima ministra della Repubblica, Tina Anselmi si fece voce di un disagio collettivo lucidamente manifestato proprio in quegli anni dai neonati movimenti femministi e ci volle ben poco – circa un anno di discussioni – per arrivare alla Legge sulle pari opportunità.
Cosa prevedeva la Legge sulle pari opportunità: tutti gli articoli più importanti voluti da Tina Anselmi
Compreso il conteso sarà più semplice capire perché oggi Tina Anselmi è considerata una delle primissime persone a battersi in politica per raggiungere quelle Pari opportunità contenute nella Costituzione e non ci resta ora che capire cosa introdusse (e cosa abrogò) quella storica legge. Gli articoli erano in totale 12 ma tra queste righe ci soffermeremo solamente su alcuni, i più importanti: è il caso del primo che vietava – ed è il succo della Legge sulle parti opportunità di Tina Anselmi – ogni tipo di discriminazione arbitraria basata sul sesso, collegato all’articolo 5 che vietava alle donne di lavorare nei turni notturni fuorché per le dirigenti e le operatrici sanitarie.
Nel mezzo c’era anche l’articolo 4 che superava definitivamente una delle discriminazioni più diffuse sul nostro territorio; ovvero l’abitudine (prevista dalla legge) di licenziare in tronco le donne che avevano raggiunto i 55 anni – considerati il momento giusto per il pensionamento – rispetto agli uomini che potevano continuare a lavorare fino ai 60. Poco più avanti la Legge sulle pari opportunità prevedeva anche che le donne-madri da adozione fossero trattate in ugual modo rispetto a quelle madri biologicamente, con le stesse esenzioni e gli stessi diritti; ma Tina Anselmi non dimenticò neppure di pensare agli uomini estendendo (in parte) il congedo parentale anche a loro nel caso di moglie lavoratrice. Infine – ma la legge era veramente fitta di articoli diversi – si proponeva anche una riforma del sistema pensionistico e previdenziale, con l’estensione delle assicurazioni sugli infortuni.