Sono passati 27 anni dalla Strage di Capaci, l’attentato mafioso che causò la morte del magistrato antimafia Giovanni Falcone, della moglie Francesca Morvillo e di tre agenti della scorta, Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro. Tina Montinaro, vedova del capo scorta, ha ricordato a La vita in diretta: «L’ultima volta che ci siamo sentiti erano le 16.30, chiedeva di sapere come stavano. Poi arriva una chiamata da un’amica, che mi chiedeva dove fosse Antonio. Mi aveva detto che c’era stato un attentato, sono andata in Questura e un funzionario donna mi bloccò, non sapendo nemmeno lei cosa dirmi. Mi ha fatto poi accompagnare in ospedale. Io non riuscivo a pensare, non mettevo le cose assieme: sentivo solamente delle voci ovattate. Si è avvicinato un altro collega e mi ha chiesto se mio marito aveva un vestito verde: ho detto sì e mi ha detto di andarmene a casa dai bambini».
“SONO PASSATI 27 ANNI, MA NON PERDONO”
Tina Montinaro prosegue nel suo racconto: «Aveva le dita incrociate, così è rimasto. Lui le incrociava quando si metteva in quella macchina, sapeva che sarebbe potuto accadere qualcosa ma non avrebbe mai lasciato il magistrato». La vedova del capo scorta di Falcone ha poi parlato delle parole in chiesa della vedova di Schifani: «Il prete chiese anche a me se volessi associarmi a questo perdono, gli risposi male. Ero in chiesa con due bambini piccoli, come si può perdonare? Sono passati 27 anni ma la penso sempre allo stesso modo, non si possono perdonare queste persone». E tiene a precisare: «Dopo tutti questi anni, posso dire che forse quella battaglia del 1992 l’hanno vinta loro: io ne porto i segni addosso. Ma non hanno vinto la guerra». Poi parla del bracciale con i numeri 100 287: «Sono i chilometri che aveva fatto la macchina della polizia esplosa: è rimasto ben poco di quella vettura e lo teniamo in una teca. Dimostriamo che non li hanno fermati, con noi continuano a camminare. La cosa più bella che mi sia capitata è la nascita del mio nipotino, che si chiama proprio Antonio Montinaro: mio figlio ci teneva a chiamarlo come il papà, Antonio è tornato».