Tra i superstiti della mala della Comasina c’è Alfredo Santino Stefanini, detto Tino, oltre a Osvaldo Monopoli e Renato Vallanzasca. Il secondo è libero, il terzo è in carcere con l’ergastolo, il primo invece a settembre finirà di scontare 50 anni di detenzione per varie condanne. Ora è affidato ai servizi sociali con il permesso di uscire dalle 8 alle 22.30 dalla casa ereditata dalla madre. «Ormai siamo ultrasettantenni. Renato è in piena demenza senile ma non gli hanno dato neppure un permesso a Pasqua. E che potrebbe fare così anziano e malato, la banda del catetere?», afferma nell’intervista rilasciata al Corriere della Sera. Stefanini racconta di fare ogni tanto il nonno e di avere l’invalidità totale: «Mi mancano pezzi di polmone e stomaco, sono cardiopatico, ho una bronchite asmatica cronica e due piastre al titanio nelle vertebre cervicali».



Ora vuole star tranquillo, ma gli capita di ripensare alla sua vita da bandito, alla banda della Comasina che era la più temuta a Milano, e non solo, tra gli anni Settanta e Ottanta. «Oggi posso raccontarla perché ho un certo distacco e non ho più nulla a che fare con la criminalità». Tino Stefanini parla di anni duri per la separazione dei genitori e di essersi unito ad alcuni ragazzi sfaccendati perché ribelle. «Sono entrato in un vortice dal quale poi è difficile uscire, perché ti leghi a persone come Renato o il mio grande amico Antonio Colia». Ci tiene a difendere la “filosofia” della banda: «Volevamo i soldi per fare la bella vita, avere auto e donne, ma in fondo eravamo anche persone normali. Rispettose, non toccavamo mai i deboli. La lotta era con la polizia, che ha iniziato a spararci contro ad altezza d’uomo e noi non siamo stati a fare gli orsacchiotti di peluche del luna park».



“LA MALA HA ANCORA IL SUO FASCINO…”

Tino Stefanini ha una giustificazione anche per l’omicidio del 1982, spiegando di aver colpito una persona che lo aveva minacciato per primo, ma oggi non lo rifarebbe. Guai però a definirlo pentito. «La parola non mi piace, la associo a chi cerca di salvarsi denunciando gli altri, ma sapere che una persona è morta mi pesa». Pensando, invece, alla libertà che ritroverà a settembre, precisa al Corriere che in realtà cambierà poco, visto che continuerà a fare quello che fa ora. Ma non esclude di iniziare a vendere una sua linea di magliette con un logo che ha depositato, «e i volti degli ultimi tre superstiti della banda, cioè io, Renato e Osvaldo Monopoli. Gli introiti verranno divisi».



Per Stefanini non è un’operazione criticabile, alla luce dei loro trascorsi criminali. «È roba degli anni 70 ormai. Renato è malato, non ricorda granché, forse non si rende neppure conto di essere ancora in carcere. Monopoli ha quasi 80 anni. E la Mala ha ancora un suo fascino anche se io andrei pure nelle scuole a spiegare che non è mica vita». A tal proposito, ammette di avere tanti rimpianti e di aver trascorso più tempo in carcere che fuori. ha sofferto molto per il figlio che non si ricordava di lui e gli rimproverava la sua assenza.

“DAI 130 MILIONI IN UN COLPO AI 730 EURO AL MESE…”

Il colpo più grosso a cui ha preso parte Tino Stefanini è quello da 130 milioni di lire. «Ma se ne andavano in fretta. Casinò a Montecarlo e a Saint Vincent. Donne. Ho avuto una Porsche, una Dino Fiat e una 124 coupé. Ma poi tutto finiva perché tornavo dentro e servivano per i pacchi che mandavo, anche alle mie ex mogli in carcere. Bella vita per poco». Al Corriere della Sera ricorda di aver avuto fascino e fortuna con le donne, proprio come Vallanzasca. «Eravamo giovani e forti. Belli. Ho avuto due mogli. La prima, Lucia, bellissima, ero innamoratissimo». La conobbe per caso e per lui è finita anche lei nei guai: «Mi aiutò a evadere e fuggire a Taranto, ma ci hanno arrestato e anche lei si è fatta due anni per favoreggiamento. Abbiamo divorziato dopo 10 anni che ero dentro. Ora è sposata con figli e sono contento per lei».

Il secondo matrimonio è con una cinese conosciuta nel carcere di San Vittore: «Ci siamo sposati nel 2002 ma in carcere nascono sentimenti perché senti la mancanza di affetto. Ho divorziato anche da lei l’anno scorso». Nel 2006 fu arrestato per un’altra rapina. «Lo facevo quando ero con l’acqua alla gola coi soldi e speravo di risolvere le cose rubando». Ora ha amiche, ma vive da solo. «Con 730 euro al mese, che mi bastano. Per le bollette, i pasti, la benzina, l’affitto che è basso perché sono invalido. Spero di sfondare con le magliette. E poi fare anche le felpe e i jeans», conclude Tino Stefanini.