Il tirocinio è un periodo di orientamento e di formazione, svolto in un contesto lavorativo e volto all’inserimento dei giovani, ma non solo almeno in teoria, nel mondo del lavoro che, però, non si configura come un “vero e proprio” rapporto di lavoro. In particolare, i tirocini extracurriculari, chiamati molte volte anche “stage”, sono finalizzati ad agevolare le scelte professionali (solo dei giovani?) tramite un periodo di formazione in un ambiente produttivo e quindi con la conoscenza diretta, e concreta, del mondo del lavoro. Questo tipo di tirocinio è disciplinato, creando non pochi problemi di regolamentazione e gestione, dalle diverse Regioni.



In questo quadro il Governo, approvando la Legge di bilancio 2022, aveva indicato alcuni criteri che sarebbero dovuti essere alla base di nuove linee guida “nazionali” da definirsi nell’ambito di un Accordo in sede di Conferenza Stato-Regioni. In quella sede si circoscriveva, ad esempio, l’applicazione di questa misura solo in favore di soggetti con rischio di esclusione sociale. Si individuavano poi elementi qualificanti del percorso quali il riconoscimento di una congrua indennità di partecipazione, la fissazione di una durata massima, comprensiva di eventuali rinnovi, e limiti numerici di tirocini attivabili in relazione alle dimensioni d’impresa.



Si immaginava, inoltre, di legare il tirocinio alla definizione di alcuni livelli essenziali della formazione prevedendo un bilancio delle competenze all’inizio del percorso e una certificazione delle competenze alla sua conclusione. Si prevedevano, quindi, forme e modalità di contingentamento per vincolare l’attivazione di nuovi tirocini all’assunzione di una quota minima di tirocinanti al termine del periodo di tirocinio da parte delle imprese.

Erano tutte, insomma, azioni e interventi volte, almeno per il legislatore, a prevenire, e contrastare, un uso “distorto” dell’istituto, anche attraverso l’individuazione delle modalità con cui il tirocinante dovrebbe prestare concretamente la propria attività in azienda.



Nei giorni scorsi, accogliendo un ricorso del Veneto, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’incostituzionalità della norma. La sentenza ha sottolineato, in particolare, come la disposizione statale circoscrivesse l’applicazione dei tirocini a soggetti con difficoltà di inclusione sociale, escludendo, quindi la possibilità per le Regioni di introdurre ogni diversa scelta formativa con un’indebita invasione nella competenza (potremmo dire di campo) regionale residuale in materia di “formazione professionale”.

Già, nelle prossime settimane, sarà, quindi, il tempo per tutti i soggetti interessati, a partire da Governo, Regioni e Parti sociali, di mettersi a un tavolo per ricucire e ricostruire un clima costruttivo che porti, per quanto possibile, a una mediazione che sappia tenere insieme le competenze e i ruoli di ognuno.

L’obiettivo condiviso deve essere, o almeno dovrebbe esserlo, quello di disciplinare in maniera efficiente ed “equa” uno strumento che si è dimostrato utile per favorire l’occupazione giovanile e che, con le dovute modifiche, potrebbe svolgere la stessa funzione per altre tipologie di persone a partire da quelle più deboli sul mercato come i lavoratori “maturi” e/o con livelli d’istruzione particolarmente bassi.

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