Alla fine i conti con la storia arrivano sempre, puntuali, per spazzare via luoghi comuni, falsità, manipolazioni e schematizzazioni che rivelano solo superficialità e ignoranza. l’Italia è specializzata in rimozioni storiche, sia per bassi scopi di propaganda politica, ma soprattutto per appropriarsi di un’egemonia culturale a tutti i livelli e per giustificare un primato morale che consente di governare o di rappresentare il meglio di un intero Paese.



È ad esempio difficile dimenticare che c’è voluta la caduta del Muro di Berlino nel 1989 per far comprendere anche ai comunisti italiani, ma non a tutti ancora adesso, che l’Unione Sovietica non era una democrazia, magari una “democrazia progressiva” (chissà cos’era) come predicava  Palmiro Togliatti per l’Italia del dopo 1945.



Un giovane milanese come Carlo Tognoli (1938-2021), allora studente dell’Istituto Molinari, si era iscritto al Partito socialista nel 1957. Tognoli lo ricorda in un suo scritto personale: si iscrisse dopo la rivoluzione ungherese del 1956. “Già da un paio di anni mi interessavo alla politica con i compagni di classe Giorgio Gangi e Giovanni Baccalini sulla base di un generico orientamento socialista. L’interesse verso il Psi e in particolare nei confronti di Pietro Nenni era nato in occasione del ‘rapporto segreto’ di Nikita Kruscev al XX congresso del Partito comunista sovietico”. Ecco, Tognoli faceva parte di quella generazione del dopo-Ungheria.



Insomma se molti comunisti compresero la vera storia quando marciavano vero i sessanta nel 1989, Tognoli aveva già capito tutto molto prima di compiere venti anni nel 1957.

In fondo, questo è solo un esempio di cosa vuol dire fare i “conti con la storia”. Ricordando sempre che accanto alle verità che emergono, convivono e conviveranno sempre le “grandi balle”, magari scambiate per utopie. Merito quindi della Fondazione Bettino Craxi aver curato, a pochi mesi dalla morte, un grande libro, Carlo Tognoli. Senza promettere la luna. Scritti di un riformista milanese (Baldini+Castoldi, 2021). Con una splendida introduzione di due carissimi amici e compagni di Tognoli, Ugo Finetti e Walter Marossi.

Il titolo del libro è già una sorta di programma riformista e, come si fa notare nell’introduzione, quello era l’ultimo articolo che scrisse Walter Tobagi prima di essere ammazzato. Il nucleo dell’articolo era un richiamo di Tobagi all’impronta storica che ispirava l’azione di Tognoli: il riformismo milanese di Filippo Turati e Anna Kuliscioff che aveva fatto crescere il socialismo italiano all’inizio del Novecento e governava la città.

Il 27 maggio 2010, in un convegno che ricordava Walter, Tognoli scandì con lucidità: “Tobagi venne ucciso non perché era una vittima simbolo del terrorismo rosso, ma perché era l’obiettivo preciso di ambienti che lo volevano eliminare perché socialista, riformista, preparato, studioso con una prospettiva di grande rilievo nel mondo giornalistico”.

La stessa lucidità Tognoli mostra, in tutto il libro, nei suoi scritti su Leonida Bissolati, su Filippo Turati e la signora del socialismo Anna Kuliscioff, su Nenni e su Craxi, su tanti altri riformisti che sono stati l’anima moderna e innovatrice di Milano e dell’Italia. Ma quello che più colpisce in Tognoli è il suo amore per Milano e per i ricordi volutamente sbagliati sulla storia della città.

Carlo Tognoli aveva coniato uno slogan che fa giustizia delle grandi balle. “La Milano da bere”, che spesso si ricorda quasi con disprezzo, era la “Milano da amare”, quella che aveva superato la crisi e la deindustrializzazione degli anni Settanta, quella che aveva rilanciato l’economia e fatto conoscere il “made in Italy” nel mondo, quella che aveva rilanciato la cultura, dopo che la Scala era stata quasi “ghettizzata” dai deliri sessantottini, quella che si era distinta persino nell’aiuto a uomini come Riccardo Bacchelli, vecchio e in difficoltà.

C’era un “patriottismo civico”, come ricordano nell’introduzione Finetti e Marossi, ma c’era una solida cultura e scelta politica in tutto questo. Nel dicembre 1979 pochi appassionati di storia e cultura, pur vivendo in un clima contrassegnato da un decennale sessantottismo sconfinato nel terrorismo, ricordano il convegno che Tognoli realizzò al Centro dedicato a Rodolfo Mondolfo, uno dei leader storici del riformismo, insieme alla rivista fondata da Filippo Turati Critica sociale.

L’oggetto del convegno era l’apertura di un dialogo tra la cultura socialista e quella liberale.

Chi scrive ricorda la presenza di uomini come Ralf Darendorf, Norberto Bobbio, Leo Valiani, Francesco Forte, Enzo Bettiza, Guido Garosci, Marcello Pera, Brunello Vigezzi, Giorgio Benvenuto. E non è possibile dimenticare l’intervento di apertura di Carlo Tognoli dedicato a Carlo Rosselli e al suo socialismo liberale. Tognoli recuperava sempre, per amore di verità, i volutamente “dimenticati” dalla falsa storia, come Carlo Rosselli appunto e Filippo Turati stesso.

In quell’occasione Tognoli sottolineò: “La dottrina del liberalsocialismo è contro il collettivismo burocratico e statocentrico e il capitalismo parassitario”. E citando specificamente Rosselli disse: “il socialismo si costruisce tutti i giorni dal basso, nelle coscienze, nel sindacato”.

Sarebbe veramente difficile, con i personaggi politici e intellettuali attuali, quelli che girano tra Parlamento e televisioni, un dibattito di quel tipo.

Anche per questa ragione persistono i ricordi appannati sulle giunte di sinistra e i rapporti con i comunisti milanesi, molto diversi nella loro azione e nel loro pensiero politico dalla segreteria centrale di Enrico Berlinguer e molto più vicino a Giorgio Amendola, quello che il segretario del Pci aveva definito “uno che non capisce nulla di marxismo-leninismo”. Dimenticando che Amendola aveva scritto fin dall’ottobre 1964 che il leninismo per la sinistra italiana andava superato e dimenticato.

E l’incontro a Milano, proprio tra Psi e Pci, era guidato da tutto il gruppo dirigente socialista, in primo luogo da Bettino Craxi. Anche in questo caso, le “grandi balle” al proposito si sprecano.

In conclusione, per tutti questi ricordi e queste precisazioni, il vuoto che Tognoli ha lasciato quando è morto il 5 marzo di quest’anno è, anche per chi scrive, incolmabile. Personalmente ricordo le partite di calcio viste insieme, persino nel suo ufficio di Palazzo Marino, le cene nei suoi appartamenti in affitto che continuava a cambiare, la solidarietà nei momenti più difficili e i suoi ricordi, di cui mi colpì uno in particolare: “Mio padre era un soldato della Brigata Julia ed è morto in guerra. Sono stato un orfano di guerra e alcuni me lo hanno pure fatto pesare quando ero bambino, perché chi era orfano di guerra avrebbe dovuto avere necessariamente un padre fascista. Mentre invece era solo un soldato. Robe da pazzi”.

Un momento di tristezza, che poi recuperava con le sue battute e gli incontri in un bar vicino alla Statale prima di Natale.

Grande Carlo. Era stato il più giovane sindaco di Milano dal 1976 al 1986. Ma fu anche un eurodeputato e fu pure ministro. Una figura indimenticabile, che fa parte della grande storia di Milano e che questo libro farà ricordare con le puntualizzazioni necessarie per chi soprattutto non ricorda mai bene la storia, volutamente. L’occasione per una prima discussione avverrà mercoledì 26 ottobre, alle 17.30, nel Palazzo delle Stelline a Milano.

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