Al di fuori del mondo del balletto, pochi sanno che uno dei maggiori coreografi del Ventesimo Secolo, Maurice Béjart (1927-2007) ha lasciato la propria eredità artistico-professionale al Tokyo Ballet, una compagnia di oltre 100 tersicorei che quest’anno celebra il cinquantacinquesimo anno dalla propria fondazione. La compagnia non si esibisce unicamente nei maggiori teatri giapponesi. E’ giunta alla trentaquattresima tournée internazionale. La tournée si svolge in Austria, Italia e Polonia. La parte italiana ha debuttato a Roma, nel corso della stagione estiva del Teatro dell’Opera alle Terme di Caracalla il 26 giugno e sarà al festival di danza a Nervi ed al Teatro alla Scala di Milano sino a metà luglio.



In Italia, è stata vista diverse volte alla Scala. A Venezia ha effettuato spettacoli sia al Teatro La Fenice sia a Piazza San Marco sia infine al Maggio Musicale Fiorentino, per un totale di 120 rappresentazioni in 15 tournée. L’ultima è stata nell’estate 2014 e si è concluso con due recite nel quadro spettacolare delle Terme di Caracalla. Il ricordo di quelle serate è tale che i romani (come d’altronde gli italiani in genere conoscano il Tokyo Ballet principalmente tramite i Dvd e i canali televisivi specializzati, la vasta platea (4500 posti) era affollatissima. E’, infatti, spettacolo da non perdere.



A differenza del programma di cinque anni che comprendeva comprende un trittico béjartiano con la musica su supporto magnetico, quest’anno il programma inizia con uno brano di balletto austriaco, ma concepito per i Teatri Imperiali Russi francese dell’Ottocento (Il Regno delle Ombre da La Bayadère di Léon Minkus, con coreografia di Anna Makarova – su quella originale di Marius Petipa) , prosegue con Ballet pour tam-tam et percussions del 1970 di Félix Blaka su musiche di Jean-Pierre Drouet e Pierre Cheriza e, dopo l’intervallo, presenta Le Sacre du Printemps di Igor Stravinsky su coreografia di Béjart. Tre brani molto differenti che fanno toccare con mano la versatilità e la maestria della compagnia.



La Bayadère è tratto da un lungo poema indiano che ispirò molte opere e balletti tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento (tra cui Sukantula di Franco Alfano riproposta dal Teatro dell’Opera di Roma nel 2006). Nonostante il nome austriaco, Minkus, nato in quella che oggi è la Repubblica Cèca, è stato dal 1870 al 1917 uno dei maggiori esponenti della musica per teatro della Russia Imperiale La Bayadère è, infine, uno dei rari balletti che richiede due prime ballerine di pari abilità. Interessante il confronto con Sukantula del 1921 (La Bayadère è del 1877). Straussiano il lavoro di Alfano che fu un grande successo in Italia , in Germania ed in America Latina, mentre è marcatamente tardo –romantico quello di Minkus, indicazione quasi del crepuscolo della musica russa “di stile occidentale” (ad  esempio, quella di Tchaikovsky ) nel periodo tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento. Siamo a sinfonismo coreografico tanto che l’”andante” della terza parte viene sovente eseguito in concerti. In breve, l’India quale percepita da Minkus non ha il profumo del decadentismo che pervade la scrittura di Alfano sul medesimo argomento. Il brano de Il Regno delle Ombre è uno dei più suggestivi. Il Tokyo Ballet ne ha dato una lettura astratta su un tappeto di musica melodica, senza cadere in orientalismi.

Di grande interesse, e di enorme suggestione, il Ballet pour tam-tam et percussions, in prima esecuzione a Roma. Sulla sinistra due percussionisti con strumenti occidentali di musica ‘alta’ occidentale e sullo sfondo strumenti a percussione giapponesi suonati dei percussionisti che si muovono nell’immenso palcoscenico. A momenti quasi di battaglia, al suo delle percussioni occidentali, si alterna un pas de deux erotico al suono delle percussioni giapponesi.

In conclusione, Le Sacre du Printemps  di Igor Stravinskij di cui nel 2013 si è celebrato il centenario. Nel 1913, a Parigi, al Théâtre des Champs-Elysées, scatenò un vero scandalo e una vera battaglia. Partitura breve (35 minuti) ma estremamente complessa, portava, con violenza (ancor più marcata in quanto alternata a momenti delicatissimi), la musica slava e le antiche danze uraliche (dense di ritmo) al pubblico europeo su un libretto incentrato sul sacrificio umano (di una vergine) per celebrare il rito dell’arrivo della primavera. Su “Le Sacre” si è scritto moltissimo. Il vostro chroniqueur rinvia al saggio di Ada D’Adamo Danzare il Rito: Le Sacre du Printemps attraverso il Novecento e all’autobiografia di Igor Stravinskij per soffermarsi sul concerto. La partitura era  radicale nel 1913 e lo è ancora oggi. E’ un radicalismo astuto, basato su un’attenta combinazione di musiche tradizionali uraliche e timbri d’avanguardia. Stravinskij ed il coreografo Diaghelev (ambedue sepolti, per loro scelta, a Venezia) erano ottimi impresari e cercavano lo scandalo. Lo ebbero alla prima. La coreografia di Béjart non segue il libretto con i suoi artifici pittoreschi ma è un inno ad una doppia unione: quella tra uomo e donna (da cui nasce la vita) e quella tra cielo e terra, che rende eterna la primavera.

Le serate alle Terme di Caracalla sono state indubbiamente più suggestive di quella altrove poiché hanno avuto come unica scena le rovine illuminate da giochi di luce (in linea sia con la partitura sia con la coreografia).

Grande successo. E attesa per la prossima tournée.