DAGLI USA IL RABBINO CHE LODA IL REALISMO CRISTIANO DI J.R.R. TOLKIEN
Nel cinquantesimo anniversario dalla morte di J.R.R. Tolkien – celebrato lo scorso 2 settembre 2023 – sul Wall Street Journal il rabbino Meir Soloveichik. ha elogiato la grandezza del realismo cristiano del geniale romanziere che ha inventato un mondo (la Terra di Mezzo), un genere (il fantasy) per raccontare più da vicino il significato ultimo dell’esistenza e destino umani. Dopo aver celebrato la grandezza di una vasta opera globale e l’ottima trasposizione cinematografica con la trilogia firmata Peter Jackson, il rabbino si concentra su un punto comunque nodale legato alla profonda fede cristiana cattolica di Tolkien.
«Per comprendere l’incanto duraturo delle opere di Tolkien, è necessario comprendere una caratteristica centrale della sua vita che il film biografico ‘Tolkien’ del 2019 ha in gran parte scelto di ignorare: la sua fede cattolica», scrive il religioso ebraico sul WSJ, «La realtà e la consistenza del peccato umano descritto nella Genesi è un tema centrale in tutti i libri di Tolkien». E così anche l’anello centrale, recuperato da Bilbo e distrutto da Frodo sul Monte Fato, rappresenta molto più di un “Mac-Guffin”, ovvero un oggetto che ha importanza solo perché aiuta a far svolgere la trama: «l’anello rappresenta il peccato e le sue molteplici tentazioni. La fragilità morale dell’umanità si manifesta nel modo in cui alcuni personaggi cedono a quelle tentazioni. Eppure altri sono in grado di resistergli».
RABBINO SOLOVEICHIK: “IL CONSIGLIO DI GANDALF A FRODO È SINTESI DI CIÒ CHE LA BIBBIA COMUNICA ALL’UMANITÀ”
Come scrive con grande puntiglia competente e con anche stima per il realismo cristiano incarnato dall’opera di Tolkien, il rabbino Usa riconosce il passaggio della redenzione che giunge alla fine del Signore degli Anelli con la testimonianza vivente dell’eroe Aragorn, discendente di una stirpe di re perduta da tempo, «un chiaro riferimento alla storia biblica di Davide e alla garanzia di Isaia che un giorno l’erede di Davide redimerà il mondo». Con un apprezzato sforzo interreligioso, il rabbino Soloveichik rileva come per i cristiani quel “discendente”, quello che Tolkien mostra con Aragorn, è proprio Gesù Cristo (anche se aggiunge nella sua trattazione come l’eroe tolkeniano «assomigli più da vicino alla concezione ebraica del messia come un grande re guerriero»).
Al netto di ciò, la Bibbia chiede all’uomo di vedere la storia attraverso la lente della provvidenza e del potere, in continua tensione tra la scelta libera dell’uomo e l’intervento divino: «Oggi, sempre più persone in occidente si astengono dall’identificarsi con qualsiasi fede, e al- cune delle nostre storie più popolari, come ‘Avatar’ di James Cameron, offrono miti che sono più pagani che biblici. Eppure il fatto che i libri di Tolkien continuino a vendere e a essere letti dimostra perché molte persone credono ancora che la complessa interpretazione del nostro mondo offerta dalla Scrittura sia la rappresentazione più accurata della realtà», si legge ancora nell’intervento del rabbino tradotto dall’edizione odierna de “Il Foglio”. L’Occidente con Tolkien dimostra di avere ancora «sete di verità»: «Ebrei e cristiani credono, in modi diversi, nel definitivo ‘ritorno del re’», pur nelle profonde differenze storiche e religiose delle due confessioni “sorelle”. Tornando a Tolkien, il rabbino riconosce la grandezza dei dialoghi e delle immagini profondamente religiose che l’autore inglese ha inserito nel Signore degli Anelli: in particolare modo il dialogo tra Frodo e Gandalf sul valore del tempo davanti alla presenza del male («Tutto ciò che dobbiamo decidere è cosa fare con il tempo che ci viene concesso»), dove si offre «una breve sintesi di ciò che la Bibbia comunica all’umanità e di ciò che ha sostenuto uomini e donne di fede in alcuni dei tempi più bui. Cinquant’anni dopo la morte di Tolkien, la serie che ha contribuito a creare il genere fantasy resiste grazie al suo realismo».