TOM BRADY GIOCA IL DECIMO SUPER BOWL

Il decimo Super bowl, Tom Brady lo giocherà in casa: meglio, la casa dei suoi Tampa Bay Buccaneers che avranno la grande possibilità di centrare il loro secondo titolo del football NFL tra le mura del Raymond James Stadium. Tom Brady ce l’ha fatta di nuovo: ha preso una squadra che non arrivava in finale dal 2003 (unica nella storia, vinta contro gli Oakland Raiders) e al primo tentativo l’ha condotta alla terra promessa, almeno a un passo da essa visto che la partita contro i Kansas City Chiefs, i campioni in carica di quel Patrick Mahomes che oggi rappresenta il volto più popolare e vincente della NFL, si deve ancora giocare. Già, Mahomes: un anno fa MVP del Super bowl, ma adesso sa che per la vera e definitiva consacrazione dovrà passare dalla sfida contro il rivale.



Naturalmente si tratta di una storia “giornalistica”: dovesse perdere il match, Mahomes non avrebbe certo meno credito di quanto abbia già ottenuto, né Brady dal canto suo verrebbe sminuito. Certo, davanti a una pinta di birra si può poi dire quel che si vuole, ma non è mai la singola partita a cambiare la realtà dei fatti quanto il quadro d’insieme. Il punto vero di queste righe è che, ancora una volta, siamo qui a celebrare un Super bowl giocato da Tom Brady. Che nel frattempo ha cambiato squadra, ha lasciato la dorata e iperprotettiva gabbia dei Patriots e ha sposato la causa dei Buccaneers. Varrebbe anche la pena dire che questo signore ha 43 primavere sulle spalle.



TOM BRADY E I BUCCANEERS

Per tutto l’anno i fan, gli appassionati e magari anche qualche addetto ai lavori hanno intrapreso il gioco delle parti. Tampa Bay andava maluccio e la tesi era “ecco, allora a New England era Bill Belichick il vero fenomeno” (l’allenatore che, al pari di Tom Brady, è entrato nella storia dei Patriots, del football NFL e dello sport USA in generale). I Buccaneers vincevano mentre i Patriots per la prima volta da una vita non arrivavano al Championship Game? Belichick un comprimario, Tom un genio assoluto. La realtà è che Brady e Belichick si sono completati a vicenda, che senza uno l’altro non avrebbe potuto vincere e viceversa, che è un po’ il discorso che ancora oggi divide la critica in tema Kobe Bryant-Shaquille O’Neal.



La realtà, quella vera, è che quando Tom Brady ha annunciato l’addio a New England lo scorso anno si è saputo che un’era si chiudeva, ma soprattutto la firma a Tampa Bay ha aperto il giro di domande: per la prima volta va a giocare nella NFC e in una squadra perdente (7-9 il record del 2019, senza playoff dal 2007), andrà al Super bowl? Fallirà? E i Patriots, cosa combineranno senza di lui? È finita che dopo 18 anni i Buccaneers giocheranno la finale eliminando Drew Brees (New Orleans) e soprattutto la favoritissima Green Bay di Aaron Rodgers; New England invece ha addirittura mancato i playoff, cosa mai successa nel ventennio dominato dal duo. La prima risposta: sì, Brady è Brady. Ma adesso, a completamento del quadro, mancherebbe una partita.

I PARAGONI CON I GRANDI

Tom Brady è quel campione che oggi può essere paragonato a tante altre leggende dello sport. Per comodità, il riferimento può essere quello con i contesto Usa per la struttura simile delle competizioni: del resto il quarterback di Tampa Bay (ricordiamolo: scelto con la chiamata numero 199, non esattamente un predestinato) merita di stare nell’Olimpo. Ha vinto 6 Superbowl, per tre volte lo ha raggiunto per poi perderlo, ha guidato i Patriots a una stagione perfetta da 16-0 (salvo poi cadere per mano dei Giants), in quattro occasioni del Superbowl è stato MVP, per tre volte ha messo in bacheca il premio di miglior giocatore della stagione, due i titoli di giocatore offensivo dell’anno.

Sbrigativo dirlo, ma per tantissime persone (soprattutto al di qua dell’oceano) Tom Brady rappresenta il volto del football NFL tanto quanto Michael Jordan è quello del basket NBA o Wayne Gretzky è riconosciuto come portabandiera dell’hockey NHL. I veri appassionati sanno poi che non ci si può fermare qui, che ogni epoca ha avuto il suo campionissimo e che dire oggi “Michael Jordan è stato il più forte di sempre, non si discute” sarebbe quantomeno riduttivo o incompleto; se però all’epoca si celebrava il sesto titolo di MJ, giunto a 35 anni e dopo un ritiro di un anno e mezzo per inseguire il sogno del baseball, se oggi si dice che LeBron James sia un giocatore che sposta gli equilibri nella NBA moderna e non è “umano”, allora lasciateci dire che il decimo Super bowl del 43enne Tom Brady è un’impresa leggendaria, e poi pazienza se magari a trionfare sarà Mahomes. Tutt’al più assisteremo a un passaggio di consegne effettivo e suggestivo.