“Penso che le canzoni siano una sorta di preghiera. Quando sono buone sono come delle preghiere. Dall’altra pare di una preghiera dev’esserci una risposta. Spero sempre che ci sia qualcuno in ascolto, qualcuno che apra la posta e mandi indietro una risposta”.
A parlare così è Tom Waits, leggendario autore di canzoni americano, quello che più di tanti altri ha saputo raccontare gli ultimi, i diseredati, i perdenti, quelli che sono rimasti fuori del grande sogno americano. Quel sogno che forse, oggi cominciamo a capirlo, è stato una menzogna sin da subito, ma che ancora oggi viene tirato in ballo come un premio per i giusti e una punizione per i cattivi. La preghiera che lui sottintende è quella che alzano i diseredati, gli sconfitti, che chiedono accoglienza e aiuto. Tom Waits, da anni lontano dalle scene (non fa più dischi e concerti) è apparso a sorpresa nell’ultima puntata del bel programma di Rai Play (disponibile sul sito del canale televisivo), Il fattore umano, che si occupa in ogni puntata di casi umani e violazioni dei diritti.
Angelo Loy, Martino Mazzonis e Luigi Montebello autori di Ultima fermata, la puntata andata in onda qualche giorno fa, lo hanno scelto come voce e come volto di un episodio straziante e fortemente accusatorio, con a tema i senza tetto americani, centinaia di migliaia di persone che vivono in condizioni di estrema marginalità. Waits canta un paio di canzoni e legge dal suo libro di poesie pubblicato anni fa e dedicato proprio agli homeless, Seeds on hard ground, semi sulla terra dura, quelli che non crescono.
Vittime di un sistema senza reti di protezione, costretti a vivere in condizioni di marginalità estrema: tra il 2023 e 2024 il loro numero è cresciuto del 18%, oggi sono 800.000 i disperati d’America. Ma è una cifra al ribasso.
Lui stesso, Tom Waits, sempre apparso nei modi, nei vestiti, nel volto segnato, una sorta di barbone senza fissa dimora, è stata la scelta perfetta. Lui è la voce dell’empatia, della solidarietà, della pietà per gli ultimi, li incarna con quella voce stentorea e sciroccata. Da Jersey Girl a Downtown Train, i protagonisti delle sue canzoni sono sempre stati reietti, ubriaconi, cuori spezzati, senzatetto e disperati romantici. Ma per loro Waits ha sempre mostrato una empatia sconfinata.
E’ proprio l’empatia la cosa che manca nella tragedia americana: sempre più amministrazioni comunali criminalizzano i poveri senzatetto, chi viene trovato per strada senza una casa viene condotto in prigione. Si cerca di farli sparire allo sguardo dei buoni cittadini.
Come dice uno degli autori del programma, Luigi Montebello, “la Corte Suprema ha stabilito che il divieto di dormire in pubblico non è una pena crudele, nemmeno quando non ci sono posti letto disponibili. Tradotto: se sei povero, è colpa tua. E se provi a dormire su una panchina, sei un criminale. La fedina penale si sporca, e trovare un lavoro diventa impossibile”.
Il programma documenta un viaggio nel profondo sud americano, dal Tennessee alll’Alabama, il Mississippi e la Louisiana, regioni poverissime da sempre dove i bianchi sono white trash, spazzatura, esattamente come i neri. Basta poco a finire per strada, come dice la storia di un ragazzino di colore cresciuto in una famiglia disagiata, vittima di abusi fisici e psicologici da parte della madre e buttato fuori di casa appena compiuti 18 anni. Perché ogni senza tetto ha una storia. I veterani delle tante guerre americane, ad esempio, che sono il 7% dei senza tetto americani.
Subiscono queste persone una caccia all’uomo: è vietato loro mangiare per strada ad esempio, oltre che dormirvi. Si rifugiano in tendopoli in cui neanche un rom di casa nostra oserebbe vivere per il marciume e lo sporco in cui sono ridotte, che sistematicamente vengono smantellate. Sempre la Corte suprema ha dichiarato che non è anti costituzionale smantellarle. Sono persone che subiscono ostilità sociale e indifferenza delle istituzioni.
Davanti a tanto sfacelo il programma racconta la storia di tanti volontari che si occupano di portare cibo, vestiti, conforto a questi disgraziati, anche solo permettere loro di lavarsi perché le agenzie governative non si occupano dell’igiene personale. C’è un grande cuore nascosto nel profondo della società americana, come la donna che ha aiutato il ragazzino di colore: “Come mai una come te mi si avvicina e mi vuole aiutare” le chiede. “Perché ti voglio bene” risponde lei.
“Certe situazioni sembrano avere bisogno di una canzone” dice Tom Waits che conclude così: “Sono una foglia caduta da un vecchio albero (…). Tutti vogliamo essere visti da qualcuno e dobbiamo posare il nostro sguardo sugli altri, vivere nel presente camminare nel mondo come dei testimoni di cose a cui forse non riusciamo a dare risposta”.
È un’altra America quella di questo documentario, quella della pietà, dell’empatia, quella dove chi sbaglia e perde tutto non è un colpevole, ma ha solo bisogno di un abbraccio. Sbaglia invece chi pensa che l’America siano i suoi presidenti, i suoi super manager della turbo finanza e della moneta virtuale, di Amazon, dei social, dei voli intergalattici, dell’intelligenza artificiale: l’America è quella degli ultimi.
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