La settimana appena conclusa è stata la peggiore per le borse dal fallimento di Lehman Brothers. Per quella americana si è trattato della più veloce correzione del 10% di sempre. La lista continua con il calo giornaliero dell’oro più alto dal 2013 e con i prezzi del petrolio sbriciolati giornata dopo giornata. La Borsa italiana questa settimana ha perso il 12%. I cali di borsa purtroppo anticipano dati sull’economia reale che saranno brutti o molto brutti. In Italia ai problemi degli altri si aggiunge un settore turistico devastato, un debito pubblico alto e un’economia che in uno stato di salute precario.
Servono soluzioni subito e serve un Governo che sia in grado di accompagnare il Paese in una fase che sarà complicata. Le soluzioni che servono non possono non passare da un sostegno concreto alle famiglie e alle imprese che non può essere fatto se non in deficit; uno sforzo che è impensabile dentro l’Unione europea senza l’aiuto delle istituzioni europee, senza la Bce e senza che ci si dimentichi di regole sul deficit. Serve anche un Governo che tagli con la sega e l’ascia norme burocratiche che pesano sulle aziende come le tasse e che si dimentichi di improbabili rivoluzioni verdi che hanno la sfortuna di essere molto costose e, soprattutto, molto incerte. Invece ancora oggi leggiamo della nomina di consiglieri economici alla presidenza del Consiglio che segnalano l’intenzione di uscire dalla crisi con più statalismo e più “green economy”. Vuol dire non avere la minima percezione né dei problemi che arrivano, né di quello che succede in un’impresa.
Purtroppo la crisi che arriva sarà complicata perché sono intere catene industriali che devono essere ripensate e per intercettare i nuovi flussi di investimento con le aziende chiuse nelle zone a rischio geopolitico bisognerà essere molto creativi con gli incentivi e molto disposti a creare ambienti favorevoli alle imprese. Vuol dire, di nuovo, poche regole, poca burocrazia e la certezza del diritto. L’Italia potrebbe candidarsi, ma deve volerlo e deve fare una rivoluzione culturale in cui “abolizioni delle prescrizioni” non possono avere posto. La produzione lascerà la Cina e c’è spazio per un Paese che sa collocarsi intelligentemente nei rapporti geopolitici e riesce a essere pro impresa.
Da ultimo bisogna chiedersi quale sarà il prezzo che l’Unione europea ci chiederà di pagare per il sostegno. Oggi va per la maggiore l’autoconvincimento secondo cui l’Ue sarà costretta a cambiare dall’eccezionalità della fase attuale. In realtà, non c’è alcuna indicazione che questo possa avvenire come si evinceva ancora ieri dalle dichiarazioni di Weidmann sulla politica monetaria europea.
Questa è un’altra sfida per un Paese, l’Italia, che al momento si rifiuta di affrontare i problemi. Pensa che l’ordinaria amministrazione possa bastare e al limite si rivede il catasto, si abolisce la flat tax o ci si inventa qualche plastic tax per fantomatiche rivoluzioni verdi. Vuol dire non aver capito nulla né della gravità che sta accadendo, né delle opportunità che ci potrebbero essere con un approccio diverso. Leggiamo della nomina di Gunter Pauli e Mariana Mazzucato come consiglieri economici per palazzo Chigi con sgomento. Pensare di ridare vita al tessuto imprenditoriale italiano o addirittura di attrarre imprese estere con ricette anti-mercato, stataliste, da decrescita felice o con rivoluzioni verdi che a questo punto nemmeno la Germania si può permettere è lunare. Per un bel pezzo non potremo più nemmeno rifugiarci nel turismo e sospettiamo che ci vorranno anni per recuperare la botta che abbiamo preso nell’ultima settimana con le compagnie aree che cancellano e deviano decine di voli. L’unico epilogo è uno Stato a socialismo semi-reale come il Venezuela imposto da un Governo che a questo punto può rimanere dov’è solo governando contro gli italiani e le loro imprese.