Condanna a 4 anni e 10 mesi di reclusione a carico di una madre che avrebbe “venduto” la figlia 15enne a una rete di pedofili online sfruttandone la prostituzione. Secondo l’accusa, che avrebbe portato al processo e alla sentenza emessa poche ore fa a Torino, la donna avrebbe messo la minorenne “in vetrina” sul web per farla prostituire. I presunti clienti avrebbero dovuto versare bonifici sulla sua Postepay in cambio delle prestazioni.
A portare a galla la vicenda, risalente al 2020, sarebbe stata l’associazione “La Caramella Buona”. Stando a quanto riportato da RaiNews, il pm avrebbe chiesto per la donna una pena di 4 anni di carcere. Le indagini sarebbero scaturite proprio dalla segnalazione dell’associazione alle autorità e il caso sarebbe approdato in tribunale concludendosi con il recente verdetto. La vicenda, ricostruisce La Stampa, era stata trattata anche da Le Iene e l’avvocato della donna, Stefano Freilone, avrebbe spiegato che le accuse “sono state sempre respinte e anche ridimensionate dalla figlia stessa, che è tornata a vivere con la madre”. La difesa avrebbe già annunciato il ricorso in Appello.
Madre condannata a Torino: per l’accusa avrebbe “venduto” la figlia minorenne online
L’accusa a carico della madre finita a processo e poi condannata a 4 anni e 10 mesi di reclusione a Torino è pesantissima. Secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, riporta ancora La Stampa, la donna avrebbe sollecitato potenziali clienti a entrare in contatto sui social per poi offrire contenuti intimi della figlia 15enne e prestazioni in cambio di ricariche sulla propria carta Postepay. Una storia che avrebbe visto la complicità del fidanzatino della minorenne.
Il caso sarebbe stato scoperto nel marzo 2020 dall’associazione antipedofilia “La Caramella Buona”, che lo avrebbe prontamente segnalato alle forze dell’ordine per gli accertamenti necessari. La trasmissione Le Iene avrebbe inoltre confezionato un servizio sulla vicenda, intervistando madre e figlia proprio in merito ai sospetti accesi intorno alla condotta della donna. Le indagini avrebbero portato a galla un tessuto di contatti quotidiani via social con numerosi “clienti” soprattutto tra Piemonte ed Emilia-Romagna. “Non esistono giustificazioni per questa madre – ha dichiarato al quotidiano Roberto Mirabile, presidente de “La Caramella Buona” e parte civile al processo con l’avvocato Antonio Radaelli –. Se proprio voleva vendere qualcosa a uomini pervertiti, da condannare, almeno avesse venduto se stessa senza coinvolgere la figlia minorenne, le cui immagini ora circolano nel mondo senza regole del web, con danni impensabili per la minore“.