Sulle discoteche manca ancora la decisione del governo, ma il ministro per gli Affari regionali Francesco Boccia ha dichiarato che se non scende il numero dei contagi, settimana prossima saranno chiuse in tutta Italia. Per adesso, le Regioni si muovono in ordine sparso: in Emilia-Romagna e Veneto le discoteche sono aperte con capienza al 50%, in Calabria sono state chiuse, in Piemonte si balla normalmente, in Toscana si potrà andare in pista, ma a distanza dagli altri di almeno due metri.
Abbiamo parlato dei rischi che vengono dalle discoteche e delle prospettive sul Covid in Italia, che ieri ha segnato 574 contagiati, col direttore di laboratorio dell’ospedale Niguarda di Milano, il virologo Carlo Federico Perno. Ci ha spiegato che, senza fare allarmismi, dobbiamo rispettare le precauzioni, cosa che non significa restare chiusi in casa. “Non credo a una seconda ondata. Abbiamo fatto bene a chiudere prima degli altri, ma ci è costato molto. E ora un secondo lockdown non possiamo permettercelo”.
Il governo ha preso tempo, ma il Comitato tecnico-scientifico ha dichiarato che le discoteche vanno chiuse. Le sembra giusto, visto quanto è facile che vi avvengano degli assembramenti?
Non posso rispondere sì o no. La circolazione del virus all’aperto, soprattutto d’estate, è relativamente contenuta perché il virus non è molto infettivo. Se però non c’è distanziamento sociale, considerando che il ballo è un’attività sportiva che aumenta gli atti respiratori al minuto, mettiamo in pericolo le persone vicine.
In Toscana si potrà ballare a due metri di distanza. Ma le discoteche non servono proprio a ballare insieme?
Se non puoi ballare vicino agli altri togli parte delle ragioni per cui si va in discoteca. Se i ragazzi non sono in grado di capirlo e accettarlo, bisogna chiuderle. I focolai di oggi sono discoteche, ristoranti, eventi di gruppo e rientri dall’estero. Le conclusioni deve trarle la politica ma la medicina su questo è chiara. Se in un luogo per cento persone ne entrano solo 20 bene, ma se ballano vicino il problema rimane.
C’è un abbassamento dell’età media dei contagiati. Questo può farci supporre che i giovani non abbiano la capacità di rispettare le precauzioni?
I giovani, per mille motivi ragionevoli ma sbagliati dal punto di vista medico, vogliono lasciarsi dietro le spalle il Covid: è estate, vogliono divertirsi. A questo si è aggiunta la falsa idea che i giovani siano immuni: è recente la notizia di 5 ragazzi di vent’anni in terapia intensiva, questo accade in Italia, oltre che numerosi casi di quarantenni in situazione critica. I giovani si ammalano molto meno degli anziani, ma anche loro sono a rischio.
Ma il numero di pazienti in terapia intensiva resta basso. È vero che clinicamente siamo in grado di contrastare meglio il virus?
È un ragionamento condivisibile. Non siamo come a marzo: abbiamo meno casi, ma siamo anche più pronti.
Come mai in Italia il numero dei contagiati resta sotto controllo rispetto ai vicini paesi europei?
Da un punto di vista medico le dico: perché abbiamo fatto un buon lavoro. Guardando il tasso di nuovi casi ogni 1000 abitanti l’Italia, con l’Ungheria, la Finlandia e l’Estonia è tra i migliori d’Europa, dove ci sono paesi con tassi di nuovi casi fino a 20 o 30 volte superiori ai nostri. Siamo stati coraggiosi e abbiamo chiuso tutto. L’abbiamo pagato molto caro, ma in America, dove non si è mai voluto chiudere, ci sono 1.500 morti al giorno.
La mancanza di precauzioni quanto tempo impiega per dare i suoi effetti?
I danni di oggi si potrebbero vedere a settembre o anche a ottobre. La stessa cosa, ribaltata, rispetto a quando abbiamo messo le restrizioni a marzo: i risultati si sono visti tra aprile e maggio.
Lei ritiene che sia esagerato parlare di seconda ondata per l’Italia?
Io alla famosa seconda ondata non credo. Credo a un virus che non si è mai spento, che continua a girare e a riaccendersi. Quello che chiamano “seconda ondata” è un aumento dei contagi come sta avvenendo in diversi paesi europei. Dobbiamo rispettare le regole: se non stiamo attenti, forse non come prima ma il contagio ripartirà. Ma stavolta siamo pronti, mi aspetto un’attività molto inferiore.
Oggi c’è una maggiore capacità di contrasto. Ma se aumentassero di molto i malati, avremmo comunque un problema?
Il contrasto è sia a monte, nelle precauzioni, che a valle, negli ospedali. A valle siamo pronti: ci sono le terapie intensive e siamo molto più preparati rispetto a marzo. Ma a monte si gioca la parte più importante, che è evitare un grande ricircolo del virus.
La commissione Ue ha comunicato di aver siglato un accordo con AstraZeneca per 400 milioni di dosi di vaccino. Entro quando ne avremo uno utilizzabile?
La mia unica certezza è che entro l’anno non vedremo quasi nulla. Prima va prodotto, distribuito, inoculato, e poi serve un mese perché abbia effetto: nella migliore delle ipotesi, siamo già a fine 2020. Ma magari faranno il miracolo.
Ce lo auguriamo, sperando che si rispettino le regole con cui si approvano i vaccini. Un altro specialista ci ha detto che un vaccino sviluppato senza un periodo di test appropriato potrebbe non garantire l’immunità sul medio lungo periodo. Ce lo conferma?
Sì. Nessuno sa cosa può succedere: il vaccino potrebbe dare un’immunità bassa, oppure potremmo trovarci in presenza di anticorpi che però non proteggono. L’immunità potrebbe anche durare poco, come ha detto lei. Non sappiamo ancora nulla.
Qual è l’atteggiamento giusto da tenere in questa fase?
Mantenere alta l’attenzione ma senza restare chiusi in casa: non ce lo possiamo permettere. Rispettando il distanziamento e indossando la mascherina, possiamo andare al bar.
Bisogna mediare la prospettiva medica con prospettive psicologiche e sociologiche?
Dobbiamo farlo, e con intelligenza. Un nuovo lockdown non ce lo possiamo permettere: abbiamo perso 10 punti di Pil. Era necessario, e se dovesse accadere di nuovo dovremo richiudere tutto, ma l’Italia non può sostenere una cosa del genere.
Secondo uno studio dell’Università Cattolica di Cremona il 41% degli italiani non vogliono vaccinarsi. Cosa crede che dovrà fare il governo quando il vaccino sarà disponibile?
Io credo che il vaccino, se funziona con certezza, non è tossico ed è efficace, dovrebbe essere obbligatorio, indipendentemente dal 41% che non vuole vaccinarsi. Quel 41% non lo condivido ma lo capisco: è sintomo di una scarsa conoscenza su questo vaccino, una scarsa conoscenza che anche noi specialisti al momento abbiamo. Io non credo sia un problema di no vax.
Lei pensa che basterà annunciare il vaccino accompagnandolo con report scientifici attendibili, al contrario di Putin?
Bisogna mettere la scienza davanti a tutto: se la comunità scientifica dice in modo chiaro che quel vaccino va fatto ed è sicuro, quel 41% si abbassa.
(Lucio Valentini)