L’arresto del governatore della Liguria Giovanni Toti (leader di Noi Moderati insieme a Maurizio Lupi) è solo un altro pezzo nel mosaico costruito tessera su tessera dalla magistratura inquirente che nel giro di un mese ha messo sotto attenzione Emiliano e Toti, con la procura di Milano che ritiene abusivi i grattacieli di Milano facendo infuriare Sala, e che anni fa indagò i collaboratori di De Luca. Per tacere della Santanchè e senza dimenticare la fuga di notizie dalla Direzione nazionale antimafia sulle decine di migliaia di informazioni riservate uscite da quegli uffici e finiti e non si sa dove. Senza che sia abbia notizia di alcuna iniziativa da parte della magistratura quando indaga su se stessa.



Come ben noto un mosaico lo si guarda bene da lontano, quando si è troppo vicini le tessere sembrano sgranate e isolate. Solo la distanza aiuta a cogliere l’immagine. E così, se ci allontaniamo nel tempo invece che nello spazio, forse possiamo capirci qualcosa. Basta andare dieci anni addietro e vedere la fine che ha fatto un tizio venuto da Rignano che nel giro di qualche mese ha scalato il potere. Subissato da indagini su di lui, sui genitori, su tutti i suoi collaboratori, quando lasciò Palazzo Chigi era assimilato da alcuni ad un gangster contornato da una banda di criminali. La sua associazione, con cui raccoglieva i fondi per la Leopolda, assimilata ad un centro raccolta tangenti, i suoi uomini e donne indicati come beneficiari di prebende, incarichi e soldi senza averne altra ragione se non condotte corruttive o simili.



Ecco, se ci fermassimo alle tessere di quei mesi vedremmo l’immagine di un Paese guidato da un soggetto apostrofato nei modi peggiori, additato dai magistrati come un criminale con condotte criminogene. Solo che, allontanandoci, arrivati ad oggi, cosa è rimasto di tutto quel castello di intercettazioni, ipotesi di mazzette, di incarichi definiti come frutto di corruzione? Niente. Assolutamente niente. Sono tutti innocenti. Nemmeno uno tra Renzi, i genitori, Bonifazi o altri e altre ha subito neppure un’ammenda. Tutti assolti. Da ipotesi gravissime che hanno sconvolto l’opinione pubblica.



A che servivano allora quelle indagini dell’epoca? Che senso avevano, se tutti, ma proprio tutto i giudici non hanno trovato niente di niente per condannarli? È mai possibile che un numero imprecisato di procuratori della Repubblica non si siano mai accorti che le loro azioni penali erano infondate? E mentre Renzi sprofondava nelle voragini del “terremoto giudiziario”, che fine hanno fatto quegli inquirenti? Spesso hanno fatto carriera. E nessuno di loro pare si sia mai neppure posto il dubbio di doversi giustificare.

Guardato da lontano, quel mosaico appare forse ora più chiaro. C’era sicuramente una immagine da abbattere, un modo di far politica da mettere sotto inchiesta, una famiglia da scandagliare. Il fatto che non sia emerso nulla a carico loro dovrebbe indurci a dirci tutti garantisti. Anche se Renzi è antipatico. Perché nel nostro sistema, e non per colpa dei pubblici ministeri, ogni indagine è condanna. Ogni brogliaccio ci indigna. Ogni arresto è una condanna a morte pubblica.

La cosa che spaventa è che lo scontro con la politica, da parte di alcuni magistrati, è cosa normale. Lo è non perché indagano, ma perché non accettano riforme e modifiche che impediscano che decine di innocenti indagati vedano le loro pudenda esposte in pubblico, la loro onorabilità compromessa, le loro vite spezzate da un meccanismo di voyeurismo sadico che pervade parte dell’opinione pubblica.

Ed allora diciamola tutta. La politica è sotto scacco dei magistrati. Non perché i pubblici ministeri agiscono, ma perché la loro azione porta ad una condanna che prescinde dall’innocenza di chi viene fatto oggetto delle indagini. Se Toti sarà innocente o colpevole, in fondo, non frega a nessuno. Ormai il Toti pubblico è morto. Travolto dai suoi avversari, dai colleghi e dal sistema mediatico che a breve ne farà pubblico spregio pubblicando telefonate, fotomontaggi e ritratti da cui si capirà che lui è il male. Anche se poi sarà innocente.

Sullo sfondo del mosaico c’è una enorme questione che è quella di come gestire il rapporto tra politica e finanziamenti. Se un politico non deve avere soldi dallo Stato, non può chiedere un contributo ad un imprenditore, non può raccogliere fondi, anche se li dichiara, vuol dire che abbiamo tutti un problema. Non riusciamo a uscire dalla trappola moralistica post-Tangentopoli e siamo ancora con la testa ad un sistema, quello partitocratico, che non esiste più. Certo ci sono i farabutti tra i politici, così come tra gli imprenditori, e sicuramente vanno perseguiti. Ma mai dobbiamo perdere la certezza che la colpevolezza di un uomo, chiunque sia, arriva solo dopo che tutti i gradi di giudizio si sono espressi. Perché, diversamente, stiamo cedendo potere ad un pezzo dello Stato, alcuni pubblici ministeri, che hanno più volte sbagliato. E con il loro errore hanno cambiato la storia del Paese e la vita delle persone. Errori umani, per carità, ma che hanno pagato solo gli innocenti e non loro.

Perciò che Toti sia alla fine innocente o meno conta davvero poco. Quello che vediamo, distaccandoci dalla singole tessere, è che a comporle sono sempre gli stessi. Quelli che sbagliano e non pagano. E se vogliamo uscirne, se la politica vuole uscirne, ora più che mai si deve riformare il sistema. Mettere davanti a tutto la dignità dell’indagato, separare chi indaga da chi giudica e rendere chiare le responsabilità se qualcuno sbaglia. Questo può e deve fare la politica se vuole disegnare il proprio mosaico invece che essere tessera di quello di altri.

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