Dopo un film sul baseball, ve ne propongo uno sul ciclismo. Un filmetto dicono in tanti, ma visto l’anno della sua uscita, 1948, un importante spaccato dell’Italia dopo la Seconda guerra mondiale. Il Tour de France ha preso il via il 29 agosto, mentre il Giro d’Italia quest’anno partirà all’inizio di ottobre. È uno sport che ha tantissimi appassionati, tanto che le bici più famose sono le nostre, e ormai costano un occhio della testa.
Quest’anno ho scalato il Passo del Tonale, dello Stelvio, il Bernina, il Mortirolo, chiaramente in auto, ma sulle salite c’era una moltitudine di ciclisti, tra l’altro tante donne (poche con pedalata assistita). Evviva l’emancipazione. Io sono un ciclista da divano, Tour, Giro, Mondiali li vedo in tv dalla notte dei tempi di Gimondi, Merckx, Dancelli, Bitossi, Moser, ecc., fino ai giorni nostri.
A un Giro ho partecipato anch’io, correva l’anno 1997 e l’ho seguito per lavoro. Mi sono entusiasmato, c’era Cipollini, Pantani, Gotti. Questi vinse il Giro, il Cipolla vinse 5 tappe in volata e arrivò addirittura a Milano, mentre il povero Pantani s’infortunò per colpa di un gatto. Povero. Andavano a tutta birra, troppo rispetto agli anni precedenti, tanto che nelle dirette di Mediaset saltavano le fasce pubblicitarie. Tutto spiegabile, erano bombati tutti quanti.
Le squadre con più grana avevano a disposizione le macchinette per controllare l’ematocrito e tapis roulant in albergo che i corridori utilizzavano di notte per abbassare i valori troppo alti nel sangue. Conobbi tanti ciclisti, gente semplice che non se la tirava con cosce abnormi ma con un fusto e braccia esili. E andavano, andavano. È impressionanti vederli salire in salita e in volata. La tv non rende testimonianza veritiera della velocità, anzi rallenta l’azione. Dal vivo è tutta un’altra cosa. E doping o no, guardate l’entusiasmo dei tifosi sulle tappe di montagna: sono sempre in migliaia.
È uno sport duro, doping o no, i ciclisti non sono fighette come nel calcio, hanno la maggior percentuale di massa muscolare rispetto a qualunque altro sportivo, hanno una soglia del dolore così alta che nessuno s’immagina. Ho visto un ciclista il giorno dopo essere scivolato sull’asfalto con un crostone dall’anca allo scarpino, ma era in sella come se non fosse successo nulla. Una mattina alle 7:00 sono andato per un’intervista nell’albergo di una squadra, stavano magnando un tre etti di spaghetti al pomodoro…. Mi son sentito male, non avevo ancora bevuto il cappuccino e mangiato il cornetto alla marmellata.
Bene, dopo questa filippica pro-ciclo vi presento il film che ho scelto, Totò al Giro d’Italia (1948) regia di Mario Mattioli, scritto e sceneggiato da Vittorio Metz, Marcello Marchesi e Steno. Che dire di loro? Non ci sono parole, hanno fatto la storia dell’umorismo italiano. E poi ce il grande Antonio De Curtis, Totò appunto con Isa Barzizza con cui girò 11 film, mentre il regista lo diresse in 16 pellicole.
Totò interpreta uno scapolone riverito e servito, mammone, professore di un liceo che s’innamora di Doriana che gli promette di sposarlo se vincerà il Giro d’Italia. Totò non sa neppure andare in bicicletta e qui ci sono delle scenette da rivista esilaranti. Evoca il diavolo, firma un accordo con lui, gli vende la sua anima per vincere il Giro. E qui entrano nel film come se stessi Bartali, Coppi, Magni, Bobet e i più forti ciclisti che sin dalla prima alla tappa vengono sconfitti dal comico. Totò fuma il sigaro e gli atleti lo imitano, si ferma a pranzare come sua abitudine riverito da un cameriere in livrea, pesca pesci in un laghetto, ma arriva comunque primo in ogni tappa. Scopre che nel contratto con il demonio vendendo l’anima vincerà il Giro, ma non è specificato che sposerà Doriana. Cerca in ogni modo di perdere le ultime tappe, ma non vi riesce, anche qui con gags irresistibili. Lo toglierà dai pasticci la madre che addormenterà il diavolo nella tappa finale. Tutto si risolve per il meglio, Totò rimane padrone della propria anima e si fidanzerà con Doriana. Film surreale, comico, con bellissime trovate: Dante e Nerone che supervisionano gli accadimenti dal cielo, il diavoletto (bravissimo Carlo Micheluzzi) che parla in veneto, il finale con Totò che canta sull’aria de Il barbiere di Siviglia con voce da baritono e in falsetto.
Il film uscì nelle sale durante le feste natalizie del 1948. Un anno particolare. Ad aprile la Democrazia Cristiana aveva vinto le prime elezioni democratiche surclassando il Partito Comunista di Togliatti; questi a luglio subì un attentato e il popolo rosso si riversò nelle piazze pronto alla rivolta, dopo che, perdendo le elezioni, non aveva di certo depositato le armi utilizzate dal 1943 in poi. Il giorno dopo l’attentato Gino Bartali vinse un tappone di montagna al Tour recuperando 22 minuti in classifica generale, vestendo la maglia gialla che lo portò trionfatore della Grand Boucle a Parigi. De Gasperi gli aveva telefonato la sera prima per incoraggiarlo a vincere cosicché la situazione di piazza si calmasse. E ciò avvenne.
Il ciclismo in quel momento era lo sport più popolare e riunificò il popolo in un momento d’incertezza e di tensione. La bici è stata nel primo dopoguerra il primo veicolo di massa per spostarsi, per lavorare, per portare a spasso la fidanzata.
Oggi potremmo dire che questo è un istant film, poiché raccontava la realtà storica e sociale del momento, scritto però da Metz, Marchesi e Steno in maniera comica, umoristica, da rivista. Battute sulla monarchia, sulla tessera del partito a cui si apparteneva (sottinteso anche quello fascista), su Scelba, la canzone Giovinezza, l’imitazione del passo romano, le armi (che molti avevano e che non erano state riconsegnate), il nudo di donna. Tutto scritto in maniera da far sorridere impersonato da un grande comico come Totò.
Non me ne vogliano i critici, ma classifichiamolo come film neorealista, al pari di Ladri di biciclette, uscito nel 1948 anch’esso e Oscar nel 1950. Questo, tragico, individualista e triste, l’altro chiaramente surreale, ma sorridente come gli italiani lo sono. Sicuramente da vedere in questo momento di Covid.