Prima dei Maneskin c’era Toto Cutugno. A dire il vero, ancora prima del cantante scomparso in questi giorni, c’era stata Gigliola Cinquetti a vincere l’Eurovision Song Contest nel 1964, ma erano altri tempi: la canzone italiana, grazie al successo mondiale di Volare di Domenico Modugno era allora ai vertici del gradimento internazionale. Toto Cutugno invece si impose in tempi non sospetti, diremmo di anonimato, con quella che venne giudicata la miglior canzone europea nel 1990 (Insieme: 1992).



Toto Cutugno era realmente un “italiano vero”. Non solo per aver sempre navigato nella più autentica tradizione melodica che è la vera cifra musicale italiana senza cedere alle mode straniere, ma anche per aver espresso l’immaginario piccolo borghese fatto di piccole banalissime cose che ci contraddistingue. Buon esempio è il brano Volo AZ504 che compose quando era ancora il cantante del gruppo degli Albatros e con il quale arrivò terzo al Festival di Sanremo nel 1976. Un brano orribile, riascoltato oggi (ma anche allora eppure il festival bacchettone democristiano lo premiò con il podio), musicalmente ma soprattutto nel testo, nelle poche parole di una canzone che per quasi i suoi cinque minuti di durata è un melenso coro sostenuto dalle tastiere e che per pochi secondi vede uno cambio parlato tra Toto e una dimenticata ragazzina, in cui in sostanza il protagonista della canzone si lamenta di aveva persa perché l’ha obbligata a abortire. Con un cinismo allucinante lui le dice: “Potevo lasciarti avere il bambino ma… ti rendi conto, cosa sarebbe successo? Però forse sarebbe stato meglio… almeno non saresti andata via”. Un aborto riparatore insomma, come nelle migliori famiglie italiane dell’epoca e forse per questo Cutugno è stato tanto amato (oltre cento milioni di dischi venduti) perché l’italiano medio si riconosceva in lui.



Meglio avrebbe fatto nella vita reale, invece che nella canzone: sposato, ebbe un figlio da una amante, che non solo fece nascere, ma riconobbe anche, spinto a farlo proprio dalla moglie che non lo cacciò di casa, ma gli sarebbe sempre rimasta accanto. Una gran donna, senza dubbio.

Alla melodia purissima Toto aggiungeva una voce che, alla radio, avresti scambiato per quella di Adriano Celentano. E infatti a lui regalò uno dei suoi più grandi successi, Soli, mentre il suo brano più famoso, L’italiano, fu rifiutato dal Molleggiato che gli disse: “Non ho bisogno di cantare una canzone per dimostrare che sono un italiano vero”. La incise lui e arrivò solo quinto al Festival di Sanremo ma la giuria popolare gli tributò un successo enorme e così le classifiche di vendita. Un brano che metteva insieme tutti i vizi e le virtù, ancora una volta, dell’italiano medio, anche se con un verso coraggioso e oggi dimenticato, quello del “partigiano come presidente”, ovvio riferimento alla figura di Sandro Pertini.



Eerno secondo a Sanremo (sei volte, ma anche vincitore, nel 1980 com Solo noi) chissà cosa avrà pensato quando il cantante rock più trasgressivo di sempre, Iggy Pop, incise un brano da lui composto, seppur cantato da un artista francese, Et si tu n’existais pas.

Come Al Bano e Pupo, altri campioni della melodia italiana, Cutugno diventò popolarissimo in Russia e nei paesi dell’est europeo, nazioni dalla lacrima facile. Cosa che, nel 2019, gli costò il divieto di esibirsi a Kiev per l’accusa di essere “un agente di sostegno della guerra russa in Ucraina”, dopo che l’anno prima era stato nominato proprio da quel paese “Uomo dell’anno”.

Contraddizioni, luci e ombre di un italiano vero, lo specchio di una realtà in cui tutti ci siamo guardati e che lui ha assunto con bravura e forse un po’ di superficialità.

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