A grande stampa quasi unificata, Roberto Gualtieri è il candidato in pole position per il Mef nel governo Conte bis. Non sono molti gli italiani a conoscere il ministro che potrebbe firmare la manovra 2020, ma basta “googlare” il suo nome per capire vari perché.

Gualtieri, docente di Storia contemporanea alla Sapienza di Roma, è stato vicedirettore dell’Istituto Gramsci. Ha diretto, fra l’altro, il rapporto annuale sull’integrazione europea edito dal Mulino, lo storico think tank della sinistra Dc bolognese, che ha sempre avuto in Romano Prodi il potente dominus.



Entrato in politica nella segreteria romana dei Ds, Gualtieri è stato poi chiamato proprio da Prodi nella commissione di saggi per il Manifesto del Partito democratico.

Nel 2009 Gualtieri è stato inviato dal Pd direttamente al Parlamento europeo, nel quale è stato rieletto lo scorso maggio per un terzo mandato. A Strasburgo, negli ultimi dieci anni, ha ricoperto incarichi di crescente visibilità sul fronte economico-finanziario, pur non avendo esperienze accademiche o di governo nel campo.



Fra i suoi impegni (culminati nella presidenza della strategica commissione Problemi economici e monetari) spicca la partecipazione a numerose attività parlamentari focalizzate sull’Unione monetaria e bancaria, negli anni di maggiore sofferenza dell’Italia su quei fronti, sul versante delle regole europee e della loro controversa applicazione. Non da ultimo: Gualtieri ha frequentemente condiviso i suoi impegni con il belga Guy Verhofstadt, primo fra tutti l’iter europarlamentare del Fiscal Compact. Sul piano più squisitamente politico, entrambi appartengono al “Gruppo Spinelli”, iniziativa del Movimento Federalista Europeo a Strasburgo.



L’ex primo ministro di Bruxelles (negli anni della presidenza Prodi alla Ue) è oggi il leader di Alde, l’alleanza delle forze liberaldemocratiche che rappresenta da sempre la terza famiglia politica “costituzionale” in Europa dopo Ppe e S&D. Di casa in tutta l’eurocrazia ospitata dalla capitale belga, Verhofstadt è stato lui stesso nel 2014 candidato liberaldemocratico alla presidenza della Commissione, in alternativa al popolare lussemburghese Juncker, come delegato del regime franco-tedesco in Europa. Il leader belga è d’altronde noto alle cronache politiche italiane per aver definito (in italiano, nel febbraio scorso) un “burattino” il premier italiano Conte, allora in versione giallo-verde.

In precedenza, tuttavia, M5s – privo di collocazione nella mappa dei gruppi parlamentari di Strasburgo – aveva tentato abboccamenti proprio con i liberali.

Al voto del maggio scorso Alde ha potuto contare sull’adesione di En Marche!, il giovane partito del presidente francese Emmanuel Macron. I liberali europei (cui ha fatto capo anche Scelta civica, il partito di Mario Monti) hanno resistito meglio di popolari e socialdemocratici all’avanzata di sovranisti e Verdi, ma non sono riusciti a imporre la loro candidata alla Commissione, la dura commissaria danese all’Antitrust, Margrethe Vestager (gran martellatrice, fra l’altro, delle banche italiane).

Su questo sfondo, comunque, non può aver sorpreso che Gualtieri sia stato rieletto in luglio alla guida della strategica commissione Problemi economici e monetari, nonostante S&D abbia visto cadere da 190 a 152 i propri seggi a Strasburgo (da 31 a 19 il Pd). Per quanto quasi ignorata, la nomina di Gualtieri sembra dunque riconducibile al “progetto Ursula” enunciato proprio da Prodi nell’imminenza del “ribaltone” italiano in corso con l’alleanza M5s-Pd.

I passaggi sembrano ormai ben ricostruibili. All’indomani del 26 maggio, il risultato elettorale della Lega fa scattare l’allarme rosso in Italia presso M5s e Pd e nelle grandi capitali europee (Parigi, Berlino e Bruxelles).

Il 29 maggio la commissione Ue (in scadenza, fortemente delegittimata alle urne) apre una procedura d’infrazione senza precedenti per debito contro l’Italia giallo-verde.

A fine giugno il premier Conte baratta la chiusura di una procedura d’infrazione chiaramente intimidatoria sul piano politico con l’appoggio dell’Italia alla nomina al vertice della Commissione di Ursula von der Leyen (tedesca fortemente sponsorizzata da Macron) e di Christine Lagarde alla Bce. Alla presidenza del Consiglio europeo, al posto del polacco Donald Tusk, viene chiamato l’ex premier belga Charles Michel (francofono, leader di MR nel gruppo Alde). Presidente del Parlamento europeo – a sorpresa – viene eletto David Sassoli: Pd italiano.

Un mese dopo, Conte viene re-investito al G7 di Biarritz, in una crisi di cui Prodi (grande vecchio del Ppe, ascoltato dal cancelliere tedesco Angela Merkel) ha scritto il copione.

E ora a scrivere la prossima finanziaria “euro-italiana” potrebbe essere Gualtieri. A meno che il “comitato Ursula” – che ormai sembra aver sostituito le istituzioni democratiche nel governo del Paese – non decida all’ultimo di spostarlo da Strasburgo a Bruxelles come commissario “euro-italiano” nella Commissione presieduta da Ursula.