Che Mario Draghi sarà il prossimo presidente del Consiglio non dubita più nessuno. Più difficile comprendere in che modo verrà composto il suo governo. Forse solo con Mattarella ne ha parlato, due mutismi che si incontrano, e che portano all’esplodere dei retroscena, tutti in apparenza con un minimo di credibilità.



Tutto tecnico, o un mix fra politici e tecnici, questo è il bivio su cui ha certamente riflettuto per tutta la domenica l’incaricato nel suo buen retiro di Città della Pieve. Un dilemma che va di pari passo con la delimitazione del perimetro della maggioranza che lo sosterrà. Su questo punto il mandato di Mattarella era stato chiaro: un esecutivo di alto profilo, “che non debba identificarsi con alcuna formula politica”. Velleitario, quindi, il tentativo di arroccarsi all’interno della (ex) maggioranza giallorossa. Sbagliato, in linea di principio, persino invocare la formula “Ursula”, cioè l’ingresso della sola Forza Italia. Chi strepita vuol dire che non ha capito il messaggio del Colle.



In partenza, il tentativo di Draghi era (e resta) quello di tener dentro tutti coloro che avrebbero accettato il suo invito. Ecco perché la disponibilità di Salvini è stata accolta con favore, mentre la Meloni si è collocata fuori dal recinto per sua esclusiva scelta. Può una base parlamentare tanto ampia (la più ampia mai vista dall’epoca della solidarietà nazionale a metà anni Settanta) essere tradotta in una squadra di ministri in cui i partiti sono direttamente rappresentati? Difficile, ma non impossibile.

Nel primo giro di consultazioni Draghi non si è sbottonato molto. Un concetto è apparso chiaro ai suoi interlocutori: i nomi, alla fine, li sceglierà lui. Ed è per questo che vi sono fra i politici nomi più probabili di altri. E a qualcuno di loro riservatamente la disponibilità è già stata chiesta, anche se di certezze nemmeno l’ombra.



Se dovesse scegliere dentro Forza Italia, ad esempio, il nome più probabile non può essere che quello di Antonio Tajani. Il suo cursus honorum europeo, culminato con la presidenza del parlamento di Strasburgo, depone a suo favore. E in campo leghista strafavorito resta Giancarlo Giorgetti, forte di un consolidato rapporto di stima reciproca.

Potranno Tajani e Giorgetti sedersi al grande tavolo rotondo di Palazzo Chigi insieme a un Di Maio, a uno Speranza, e a un Guerini? Non è facile, ma neppure impossibile. C’è il precedente del governo Ciampi, senza andare a scomodare i padri fondatori, con De Gasperi, Togliatti e Nenni insieme.

Ogni soluzione ha i suoi pro e i suoi contro. Avere i politici in Consiglio dei ministri presenta il vantaggio di un collegamento diretto con i partiti, ma allo stesso tempo lo svantaggio di rischiare veti reciproci e paralizzanti. Ecco perché l’ipotesi “tutto tecnico” rimane in piedi: più agile nel decidere, ma più fragile alla prova parlamentare. Una compagine di alieni potrebbe diventare ben presto un “governo amico”, come fu per Monti, con rapido raffreddamento del sostegno in parlamento. Soluzione intermedia quella di Dini: ministri tecnici, sottosegretari politici.

Draghi potrebbe comunque pretendere degli esperti, magari di area, nei tre dicasteri chiave (Economia, Sviluppo economico e Infrastrutture). E c’è qualcuno che evoca persino il precedente proprio di Monti, che tenne ad interim il portafoglio dell’Economia per sei mesi. Sarebbe la miglior polizza di assicurazione per tutti nella fase di preparazione del Recovery Plan, mormorano alcuni.

Il puzzle è di esclusiva pertinenza del presidente del Consiglio. I nomi che girano tantissimi. Della precedente squadra potrebbe sopravvivere la Lamorgese (salvo veti salviniani), ci spera Manfredi, una sorpresa potrebbe essere Conte, anche se il suo nome è ingombrante. Poi tantissimi tecnici, Vittorio Colao, Dario Scannapieco, Daniela Franco, Marta Cartabia, Elisabetta Belloni, Marcella Panucci, Carlo Cottarelli. L’elenco potrebbe continuare, tanto nessuno conosce le reali intenzioni di Draghi.

Dal momento del giuramento, però, tutti i partiti, volenti o nolenti, dovranno fare i conti con il terremoto che l’entrata in scena dell’ex presidente della Bce rappresenta. Tempo qualche mese, e nulla sarà più come prima.

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