La reazione dei mercati al maggiore rialzo dei tassi della Fed dal 1994 è stata “positiva” esattamente come è accaduto ieri mattina in Europa all’annuncio della riunione di emergenza della Bce. Il rialzo di 75 punti base era stato adeguatamente preparato da un “rumour” pubblicato sul Wall Street Journal lunedì. L’articolo aveva ritarato le aspettative degli investitori spostando l’asticella di una sorpresa negativa sopra il livello di 75 punti base al livello “estremo” di cento punti. Ieri non è quindi uscito niente di peggio di quello che ci si aspettava.
Non è chiaro per quanto tempo questo basti a placare le preoccupazioni degli investitori. Powell ha dichiarato che la Fed “non sta cercando di causare una recessione” e di ritenere che “un atterraggio morbido” dell’economia sia possibile. Questo è l’orizzonte su cui i mercati misureranno il ciclo di stretta monetaria più aggressivo dagli anni ’80. Non è chiaro quanto l’economia possa resistere a un inasprimento delle condizioni monetarie in una fase geopolitica già di per sé complicata e con i debiti, pubblici e privati, ai massimi dopo due anni di chiusure a singhiozzo dell’economia. Più la Federal Reserve è aggressiva nel suo obiettivo di ridurre l’inflazione, più aumentano le possibilità che i mercati finanziari si “rompano” e l’economia si avviti.
Se, come sostiene Powell, la recessione non arriva e l’economia atterra morbidamente, allora la Fed può continuare nel suo percorso dei rialzi e i mercati prenderne atto senza conseguenze ingestibili. Se invece i mercati finanziari dovessero “rompersi”, si arrivasse a situazioni di default statali o private e l’economia entrasse in recessione, allora cambierebbe tutto. Più la Fed è aggressiva, meno bisogna aspettare per vedere la fine. In questo senso il mercato potrebbe persino decidere che il momento di un’inversione sia più vicino proprio perché i rialzi sono maggiori. Si tratta “solo” di vedere quali e quanti sono i danni che verranno prodotti.
La Banca centrale europea è in una posizione più complicata. Ieri l’aumento dello spread si è interrotto dopo l’impegno ad accelerare l’adozione di nuovo strumento per contenere la frammentazione finanziaria in Europa. La riunione di emergenza e l’impegno della Bce sono stati comunque una novità di cui i mercati non hanno potuto non tenere conto. Oltre all’impegno, però, non c’è molto; non ci sono i dettagli, né le tempistiche con cui questo strumento dovrebbe arrivare. L’andamento degli spread degli ultimi giorni invece dimostra quanto velocemente possa deteriorarsi il mercato obbligazionario europeo. L’Europa è in una posizione economica molto peggiore rispetto agli Stati Uniti sia perché è un’unione monetaria imperfetta, sia perché le sanzioni hanno un impatto molto maggiore da questa parte dell’oceano. L’impegno della Bce verrà testato dagli investitori e questo significa che la Bce sarà chiamata presto a far vedere le carte dopo il bluff di ieri.
Il rialzo dei tassi, come risposta all’inflazione, ha immediatamente riportato la crisi dei debiti sovrani in Europa. La Bce non può non alzare i tassi, in qualche modo, altrimenti dovrebbe fare i conti con un indebolimento eccessivo dell’euro e quindi con maggiore inflazione. Ha bisogno di uno strumento nuovo con cui provare il difficile compito di alzare i tassi senza spaccare l’Europa. Questi strumenti avranno “condizionalità” per gli Stati che ne avranno bisogno. È un problema politico perché il contesto economico internazionale, a differenza dell’ultima crisi dei debiti sovrani, è sfidante e quindi il prezzo politico chiesto agli Stati, sotto forma di tensioni sociali, è più alto.
Oggi quindi è la domanda è quanto può durare la calma arrivata dopo la giornata di ieri. La previsione più facile è che finisca prima in Europa che in America.
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