Il dibattito politico italiano sembra essere assorbito in queste settimane dalle misure da inserire o togliere dalla Legge di bilancio e proiettato a immaginare chi potrà essere il nuovo inquilino del Quirinale ed eventualmente di palazzo Chigi. Scarsa attenzione (eccezion fatta per i rincari previsti delle bollette energetiche) pare si stia invece prestando al rialzo dell’inflazione e agli effetti che esso può avere non solo sulle tasche dei cittadini, ma anche sulle finanze pubbliche, specie per i cambiamenti di politica monetaria in vista.



Il Presidente della Federal Reserve, Jerome Powell, la scorsa settimana, ha infatti detto che non si può più parlare di inflazione transitoria, il che conferma che negli Stati Uniti ci sarà un rialzo dei tassi di interesse a partire dai prossimi mesi. Per quanto riguarda la Bce, ci spiega Domenico Lombardi, economista ed ex consigliere del Fmi, «in occasione del prossimo incontro del Consiglio direttivo del 16 dicembre verrà divulgata la nuova batteria di previsioni macroeconomiche e quasi sicuramente ci sarà una revisione al rialzo dell’inflazione per l’anno in corso e per il prossimo, ma con la prospettiva che tra due anni l’indice dei prezzi al consumo rientrerà in un range accettabile. In ogni caso, la Bce già ora riconosce un carattere più persistente alla spinta inflazionistica in corso. In questo il messaggio è qualitativamente analogo a quello della Fed, anche se veicolato con minore forza».



A livello qualitativo sarà anche simile, ma a livello formale il messaggio appare diverso…

Da settembre la comunicazione della Bce è stata ricalibrata proprio per veicolare il messaggio sull’esistenza di un grado di persistenza dell’inflazione maggiore di quello inizialmente ipotizzato. Tuttavia, rispetto alla Fed, l’Eurotower ha mostrato più cautela, soprattutto per quel che riguarda le conseguenze che questa aumentata persistenza o minore transitorietà dell’inflazione potranno avere sul regime di politica monetaria. Già a fine ottobre, Christine Lagarde ha, di fatto, annunciato la cessazione del Pepp a fine marzo in anticipo rispetto alle aspettative e ha de-enfatizzato l’App, l’altro programma non convenzionale di acquisto di titoli, a differenza di quanto fatto in passato.



Qual era in questo senso il messaggio trasmesso in precedenza?

Dai vertici della Bce veniva spiegato che se anche il Pepp fosse stato dismesso, l’App avrebbe in qualche modo continuato a fornire uno stimolo monetario significativo. Da poco più di un mese, invece, il messaggio trasmesso è che viene confermata la cessazione del Pepp a fine marzo, ma al contempo l’App è stato molto de-enfatizzato. Di fatto viene, quindi, annunciata una normalizzazione della politica monetaria, lungo un percorso che sarà sicuramente più graduale rispetto a quello della Fed. Tra l’altro c’è un ulteriore elemento che sembra rafforzare questo messaggio dell’Eurotower.

A che cosa si riferisce?

Nonostante l’aumento dell’incertezza che si registra nella situazione epidemiologica, a seguito del diffondersi della variante Omicron, la Presidente Lagarde non ritiene che questo possa condizionare il quadro macroeconomico in misura significativa. Ciò è coerente con il messaggio di avvio della normalizzazione della politica monetaria. Guardando al 16 dicembre, l’incontro del Consiglio direttivo sarà importante per capire quale sarà il ritmo di questa normalizzazione, ma non se essa ci sarà o meno nei prossimi mesi, perché su questo la comunicazione della Bce è stata nelle ultime settimane piuttosto convergente.

Quali possono essere le conseguenze del combinato disposto tra normalizzazione della politica monetaria della Bce e rialzo dei tassi da parte della Fed?

L’economia dell’Eurozona, nel suo complesso, presenta un livello di maggior fragilità rispetto a quella degli Usa, quindi la normalizzazione della politica monetaria dovrebbe avvenire a un ritmo meno incalzante rispetto a quello che vedremo negli Stati Uniti. L’area dell’euro si compone di varie economie nazionali che presentano un quadro abbastanza variegato, con elementi di incertezza e vulnerabilità che attanagliano alcuni Paesi più di altri, Italia in primis. L’aspettativa è che con l’avvio e il procedere della normalizzazione della politica monetaria i mercati tenderanno a discriminare maggiormente fra le economie nazionali prezzando le singole economie in funzione della loro vulnerabilità e fragilità. In pratica ci sarà, quindi, una maggiore variazione nello spread.

È a questo, quindi, che si deve il messaggio arrivato nelle scorse settimane da Bruxelles all’Italia sulla necessità di contenere la spesa corrente?

Sì. Con l’avvio della normalizzazione della politica monetaria nell’Eurozona e la conseguente normalizzazione degli spread tra le varie economie, la Commissione europea giocherà un ruolo sempre più cruciale perché con le sue dichiarazioni fornirà un rating implicito sulle prospettive di finanza pubblica e macroeconomica di ciascun Paese, che poi i mercati tradurranno in decisioni di prezzo, quindi di spread tra i vari Paesi. È importante, pertanto, che si faccia chiarezza su quella che sarà la struttura del nuovo Patto di stabilità qualora venisse riformato. Perché altrimenti i Paesi che strutturalmente presentano uno spread più elevato dovranno anche pagare il prezzo di una situazione di incertezza rispetto a un Patto di stabilità revisionato o meno.

A suo avviso, a livello politico interno si ha la percezione di questo cambiamento che ci sarà l’anno prossimo?

La mia sensazione è che il dibattito nazionale sia centrato su tre dimensioni, tutte di breve termine. La prima riguarda il contrasto alla pandemia. La seconda è una corsa a rispettare i requisiti per ottenere la prossima tranche di finanziamenti del Next Generation Eu. La terza è la corsa al Quirinale. Discussioni e analisi su quello che può essere lo scenario macroeconomico del prossimo anno mi sembrano assenti nel dibattito. Tuttalpiù queste valutazioni macroeconomiche sono semplicisticamente assorbite dalle stime sugli effetti del Pnrr, che in qualche modo viene considerato quasi salvifico per l’economia italiana. Ferma restando l’importanza del Pnrr, mi sembra che manchi qualsiasi analisi su scenari più articolati.

Dobbiamo, quindi, attendere il 16 dicembre per avere qualche indicazione sul ritmo della normalizzazione della politica monetaria della Bce. Per quanto riguarda invece il Patto di stabilità, secondo lei, quale sarà l’atteggiamento del nuovo Governo tedesco?

Credo che negli ultimi tempi la Germania sia stata particolarmente benevola su questo dibattito scontando l’uscita di scena della Merkel che voleva accomiatarsi in modo non conflittuale. Ritengo che il nuovo Governo, sotto la spinta dell’opinione pubblica, a maggior ragione dopo l’enorme sforzo fatto dall’Ue con il Next Generation Eu, richiederà una correzione di rotta ai Paesi ad alto debito. Riassisteremo, quindi, a una dialettica tra Paesi a basso debito e Paesi ad alto debito anche perché la pandemia ha ulteriormente accentuato questa dicotomia nell’Eurozona. L’Italia, tra l’altro, ha avuto sempre una difficoltà strutturale ad assorbire i fondi europei. Vedremo se sarà anche questa volta il caso oppure se con l’attuazione del Pnrr ci sarà un salto di qualità.

(Lorenzo Torrisi)

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