Un paio di mesi fa Riccardo Ruggeri, ex top manager Fiat, mettendosi nei panni di un finto ceo di una finta big car company suggeriva al suo finto board di cedere o regalare l’azienda allo Stato, dicendo: «Meglio una perdita secca ora che uno stillicidio continuo, lo dovete ai nostri dipendenti, ai fornitori, ai partner, ai sindacati». Certo è un paradosso, un’affermazione che sembra lontanissima dalla realtà. Ma, come ogni paradosso, ciò che scrive non è lontano da quello che sta succedendo.
A causa delle assurde e inattuabili riduzioni delle emissioni previste dall’Ue per il 2030, dell’inconcepibile data del 2035 per l’abbattimento totale, della smania politica per le auto elettriche, poco pratiche e costose, già prima della pandemia mostravano al settore una via praticamente impossibile da percorrere per i produttori. Oggi ci si è messa anche la carenza di chip che taglia ogni residua velleità di affrontare con speranza una crisi che temiamo irreversibile.
I numeri sono impietosi. Lo scorso anno le immatricolazioni in Europa, nonostante i provvedimenti adottati per sostenere il mercato in alcuni Paesi, sono calate del 24% a poco meno di 12 milioni di auto vendute. In Italia il crollo è arrivato a quota 27% e il mercato è tornato indietro ai valori del 1979, gli anni bui della crisi petrolifera e dell’inflazione galoppante. Con l’inizio della campagna vaccinale e la ripresa economica ci si aspettava un’impennata delle vendite, un ritorno alla quasi normalità. Ma non è accaduto perché le richieste ci sono, ma non ci sono le auto perché non ci sono i microprocessori capaci di gestire la caterva di elettronica presente sulle moderne vetture. Le consegne, di conseguenza, sono diventate un vero e proprio incubo, sia per gli automobilisti che per i concessionari.
Solo qualche esempio: per avere una Jeep Compass bisogna aspettare 15 settimane, per una Alfa Romeo Giulia 14, per una Audi A4 120 giorni, 210 per una Mercedes Classe A. Per alcuni modelli si arriva a dover attendere 13 mesi prima di poterli ritirare dai concessionari che stanno svuotando garage ed esposizioni per venire incontro ai clienti. Anche per questo le immatricolazioni nei primi otto mesi del 2021 sono ancora lontane da quelle del 2019. Nei primi otto mesi di quest’anno si è recuperato solo il 50% delle vendite perdute e, visto che la carenza di microprocessori non sembra destinata a terminare in breve tempo, la situazione potrebbe anche peggiorare.
Ma come si spiegano allora i bilanci solidissimi e gli utili che ancora mostrano agli azionisti la maggior parte delle case automobilistiche? Aiuti statali sotto le più svariate forme, interessi sulle vendite a rate con denaro acquisito a costo zero, taglio delle entrate dei fornitori che vanno sempre più spesso a gambe levate e aumento dei margini sulle auto tradizionali con motore termico, le uniche su cui guadagnano qualcosa. Ma non è una strategia, è una tattica per sopravvivere qualche anno in più magari sperando in qualche innovazione tecnologica che stimoli le vendite in maniera significativa.
La speranza è che arrivino batterie che costino meno, si ricarichino più velocemente e abbiano una maggiore autonomia. In attesa di trovare il Santo Graal della guida elettrica, quella autonoma ha, però, segnato un punto di non ritorno. In Francia hanno avviato un processo legislativo che porterà nei prossimi anni a ritenere il costruttore del veicolo responsabile dei danni provocati da un’auto che si guida da sola. Dal punto di vista logico non fa una piega, da quello pratico è l’ennesimo macigno sulla strada dell’industria automobilistica. I processi di riconoscimento sono talmente complessi da richiedere l’analisi di una mole enorme, quasi infinita, di dati e l’errore o il bug nell’esecuzione di un programma, ormai lo sappiamo tutti, è sempre dietro l’angolo.
Alcune ricerche dicono che la guida autonoma potrebbe ridurre sostanzialmente gli incidenti, diciamo il 90%, ma questo vuol dire che non ne evita il 10%. Quindi le case automobilistiche dovrebbero pagare i danni per un decimo degli incidenti che avvengono ogni anno nel mondo. Non ce la potranno mai fare, ma forse è un problema che non faranno neanche in tempo a porsi.
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