I suoi dipendenti si vantano di lavorare nell’azienda “meno conosciuta ma più importante del mondo”. E i numeri giustificano questa ambizione: L’olandese Asml, un nome sconosciuto anche tra gli addetti ai lavori, è diventata in settimana la società leader del mercato azionario europeo. Parliamo di Advanced Semiconductor Materials Lithography, l’azienda olandese nata giusto quarant’anni fa in quel di Veldhoven, alla periferia di quel che a suo tempo era l’impero Philips, oggi alle prese con una complessa ristrutturazione cui partecipa Exor.
Un colosso sconosciuto, con un valore di mercato di 322 miliardi di dollari che ha scalzato un’altra azienda basata sul sapere, la farmaceutica Novo Nordisk. Sconosciuta ai più ma non a chi conta. Gli Usa hanno esercitato la massima pressione diplomatica per convincere Amsterdam a vietare la vendita ai cinesi dei macchinari di ultima generazione per la produzione. tramite procedimento litografico, dei chips più potenti, l’arma più preziosa, se non l’unica di cui dispone l’Europa nella sfida per la leadership della ricerca.
Merito di quei 300 pionieri usciti da Philips nel 198 per sviluppare un progetto che all’epoca sembrava follia: come si poteva pensare di sfidare asiatici e americani sul terreno dell’innovazione? Al contrario, con la collaborazione della tedesca Zeiss, Asml ha messo a punto nel tempo un processo di produzione dei preziosi chips basato sull’uso della luce che ha consentito, anno dopo anno, di produrre chips sempre più piccoli ma anche più raffinati. Una sorta di “dutch miracle”. Fatto di pazienza e perseveranza. Oltre naturalmente che dei capitali immessi nell’impresa, sia dallo Stato che dall’Unione europea.
Insomma, la storia di un grande successo industriale che si basa sulla capacità di far collaborare 4 mila fornitori su tutti gli aspetti tecnologici di un’impresa che assorbe migliaia di nuovi collaboratori all’anno grazie a un modello che ha permesso di accelerare lo sviluppo rispetto ai concorrenti. Un esempio di quel che l’Europa può dare al mondo, con un esercito di quasi 40 mila dipendenti in arrivo un po’ da ogni parte del pianeta, come lasciano intuire le sei cucine diverse della mensa aziendale, un grande melting pot all’insegna della scienza. Ovvero un grande esempio di quel che l’Europa può dare al mondo all’insegna della tolleranza e del rispetto del lavoro, senza pretese dogmatiche.
Peccato che l’Europa non sia solo questo. Spostiamoci di qualche chilometro restando nella civilissima terra d’Olanda. Qui, nel 2022, il Governo guidato da Mark Rutte si è adeguato ad una decisione della Corte suprema che imponeva di ridurre i contributi all’allevamento dl bestiame con l’obiettivo sacrosanto di ridurre del 30% le emissioni di gas di origine agricola eliminando buona parte della percentuale di azoto nell’aria, quattro volte superiore alla media europea. Una ricaduta negativa di quello che da sempre è uno dei punti forti dell’agricoltura nei Paesi bassi. Ma di fronte alla prospettiva di eliminare tra i 10 e i 15 mila capi di bestiame è esplosa la protesta dei contadini, culminata nella revisione del piano azoto, tuttora in discussione. Nel frattempo, però, è cresciuto il fronte della protesta culminato nell’affermazione di un nuovo partito, il BBB, espressione dell’estrema destra capitanata da Gert Wilders, leader xenofobo che poco o nulla c’entra con la tolleranza della terra di Spinoza.
L’Olanda non è un caso isolato. Ovunque, a partire da Francia e Germania, l’ambiente rischia di spaccare in due la politica e l’opinione pubblica a mano a mano che si avvicina la data del voto europeo. Vale per l’auto elettrica, troppo cara per le tasche dei consumatori, anche al netto dei contributi pubblici che pesano sui bilanci. Vale in particolare per l’agricoltura, settore strategico al di là del peso ridotto degli agricoltori che rappresentano poco più del 2% della forza lavoro globale, cifra che però sale di quattro volte se si considerano tutti gli aspetti legati al territorio. Ma l’impatto psicologico (e politico) è ben più elevato come dimostrano le cifre in gioco.
Una porzione crescente del mondo agricolo vive la transizione “verde”, a partire dall’auto elettrica, come un sopruso imposto dall’alto a carico dell’agricoltura. “Perché dovremmo essere noi a pagare per le vostre Tesla?”, recitava al proposito un cartellone durante la protesta che ha paralizzato per una settimana Berlino. Si protesta contro tutto, a partire dalle regole previste dall’Ue che dovrebbero aprire la strada all’Europa verde, contro la carne coltivata, le farine di insetti, le troppe tasse, il caro gasolio, e la nuova Politica agricola comune che prevede l’obbligo di avvicendamento delle colture nel nome della tutela ambientale e della sostenibilità, perché produrre sempre le stesse cose minaccia la biodiversità e depaupera il terreno. Ma cambiar rotta all’improvviso stravolge i conti delle imprese agricole. E, di conseguenza, di tutta la filiera.
No, non è facile far dialogare l’Europa dell’ambiente, all’insegna della scienza, sentita come espressione dei “ricchi”, con quella dei “popoli” che, in assenza di risultati immediati e ben visibili, rischia di scivolare nel populismo. Ma è la quadratura del cerchio attorno a cui si giocheranno le elezioni europee.
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