“Non sono così sorpreso che i mercati siano un po’ più volatili rispetto a prima di questi eventi”. Con queste parole un po’ incredibili Joachim Nagel, Presidente della Bundesbank, ha liquidato gli scossoni all’edificio delle banche europee.
Proprio mentre il banchiere centrale si limitava a parlare di “mercati un più volatili”, l’ammiraglia della finanza d’oltre Reno, Deutsche Bank, accusava una perdita del 12%, punta drammatica di un calo che nelle ultime due settimane ha bruciato un quinto del valore dell’istituto.
I cds, cioè le garanzie contro un default quasi impossibile (ma lo stesso si diceva di Crédit Suisse..). sono schizzati oltre i 200 punti come dieci anni fa accadeva alle banche greche. E dietro al tracollo di DB perdono colpi tutti gli altri leader del credito, specie quelli che hanno emesso grandi quantità di Obbligazioni AT1, quelle che la Svizzera ha azzerato in occasione del merger tra Ubs e Crédit Suisse.
Altro che un po’ di volatilità in più. Nonostante le sparate di herr Nagel, i mercati hanno ormai deciso che la stretta delle banche centrali deve finire. Magra consolazione, perché il tracollo delle banche sia in Europa che in Usa ha fatto il “lavoro sporco” riducendo al lumicino la disponibilità di credito. Vale per gli Stati Uniti, che hanno aumentato i tassi nelle ultime nove riunioni della Fed, ma anche per l’Europa, dove pur si moltiplicano gli “effetti collaterali” dell’inflazione. Vale per la protesta dei francesi sulla riforma delle pensioni, ancor di più per lo sciopero dei lavoratori tedeschi: lunedì incroceranno le braccia gli addetti ai trasporti, dai treni agli aerei che chiedono aumenti dei salari del 10,5%. Un bel problema per la Bundesbank, preoccupata per gli effetti sull’inflazione.
Ma sarà sufficiente alzare ancora i tassi per frenare l’ascesa dei prezzi? Non si rischia di far saltare il sistema, visti i danni provocati dalla rapida ascesa dei tassi che si traduce in pesanti minusvalenze per i bilanci delle banche che hanno finanziato spese e investimenti pubblici degli ultimi anni? I leader europei, impegnati nel Consiglio europeo, si sono visti arrivare un nuovo devastante problema in più. E per ora hanno scelto il silenzio. Facile prevedere che in questo weekend scatteranno rassicurazioni e promesse di intervento per scacciare il demone della crisi. Quando il gioco si fa duro, insomma, non resta che ricorrere al whatever it takes di Mario Draghi. Ai suoi tempi, in quel di Francoforte, non si commisero gli errori che hanno segnato le ultime settimane, infarcite di dichiarazioni bellicose sulla necessità di aumentare i tassi ancor prima di verificare l’effetto del calo dell’energia sull’inflazione “core”.
Ora si prova a ripartire in una situazione confusa cui non giova un quadro generale ad alto rischio: l’Europa è impegnata in una sfida militare che non ricordava da 50 anni. Ma anche in una partita ambientale molto complessa e costosa affrontata nel più assoluto disaccordo come dimostrano i contrasti sull’auto verde e sul nucleare.
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