Un’altra regola di John Maynard Keynes è stata rispettata in questa rovente estate anzitempo: nelle stagioni di crisi la moda tende a orientarsi verso il lusso più sofisticato, come segnalano le ultime tendenze, snobbando il casual. Più o meno quello che l’economista, colto e update, annotò alla vigilia degli anni Trenta.



Non è l’unico segnale della recessione in arrivo che, per carità, non sarà violenta e drammatica come nel ’29, ma dimostra che i mercati guardano con preoccupazione alla medicina dei tassi in rialzo. Le rassicurazioni delle banche centrali, Fed in testa, oggi non convincono i mercati, assai perplessi dopo le comunicazioni dell’ultima settimana. E, come disse Ben Bernanke, il successo di una manovra di politica monetaria è al 98% frutto di comunicazione, solo al 2% delle decisioni prese. Ma che altro si poteva e, soprattutto, si può fare per scongiurare che la frana della finanza non travolga l’economia?



L’aumento dei tassi nasce da situazioni diverse sulle due sponde dell’Atlantico mentre, per il momento, risparmia l’Asia. Negli Usa l’impennata dell’inflazione è in buona parte da ricondurre agli errori della Casa Bianca cui, in vista della riconferma, il Repubblicano Jerome Powell si è piegato raccontando per mesi la favola dell’aumento “transitorio” dei prezzi. In realtà, buona parte della colpa va attribuita all’enorme liquidità rovesciata sul sistema nel dopo pandemia che ha innescato l’esplosione della domanda. Oggi si scopre che, al pari di Lawrence Summers e Olivier Blanchard, anche Janet Yellen, responsabile del Tesoro, era contraria a misure così generose. Ma alla fine ha prevalso la volontà politica di far qualcosa per spingere a sinistra i ceti medi. Con i risultati che vediamo nei sondaggi: Joe Biden oggi è il Presidente più impopolare dai tempi di Gerald Ford, a metà anni Settanta. Difficile che possa rimontare la china entro le elezioni di novembre. Contro di lui congiura l’aumento della benzina e il costo dei finanziamenti alle imprese, balzato al 5,78%, massimo dal 2008.



– Ancor più difficile che le Borse Usa possano risalire la china nei prossimi mesi. Certo, non mancheranno i minirally, ma guai a farsi illusioni: il costo del denaro in salita leverà altro ossigeno al comparto tecnologia, la progressiva frenata dei consumi si rifletterà sugli utili delle Corporations così come l’avanzata del dollaro peserà sui prossimi conti delle multinazionali che, a parità di volumi, stanno guadagnando di meno. Le prossime trimestrali, in uscita dalla fine del mese, saranno decisive: se i profitti trimestrali si manterranno su livelli elevati, la frenata del Toro sarà breve. Ma se, a partire dai Big (vedi Amazon, Meta, Netflix o Tesla), la caduta sarà sensibile, saranno inevitabili nuove correzioni al ribasso. 

– Il vento dell’inflazione che soffia negli Stati Uniti non sta risparmiando nessuno. Perfino la Svizzera, il Paese da sempre meno esposto al carovita, ha mosso al rialzo il costo del denaro. In questo quadro spicca il caso della Bce, afflitta dal rischio frammentazione dei titoli di Stato dell’area. Meno di una settimana dopo le scelte annunciate da Christine Lagarde è stato necessario convocare un direttivo straordinario per annunciare che la banca centrale avrebbe utilizzato in maniera “flessibile” i proventi ricavati dal piano Pepp. Ovvero che i 200 miliardi circa nelle casse di Francoforte sarebbero serviti a impedire che lo spread tra i titoli tedeschi e quelli italiani si impenni oltre la “soglia del dolore” dei 240-250 punti, mettendo a rischio la sopravvivenza stessa della moneta unica. L’operazione ha avuto esito positivo perché tutti, a partire dai falchi, hanno risposto all’appello con energia. Ma ora i mercati aspettano i fatti. Ovvero, è fondamentale che il meccanismo individuato per frenare lo spread permetta alla Bce di comprare i titoli dei Paesi più deboli senza fare altrettanto con i Bund. È questa la flessibilità che può fermare i bond vigilantes, i killer dei mercati pronti a scendere in campo quando si verificano situazioni anomale.

– Al di là del nodo dello spread, resta il fatto che l’aumento dei tassi, medicina efficace per gli Usa, ha un effetto assai più limitato sull’Europa: l’inflazione nel nostro caso non nasce da un eccesso di domanda, bensì da un’esplosione dei costi provocata dal boom dei prezzi dell’energia e delle altre materie prime, dalla guerra ucraina nonché dai problemi per la produzione, la logistica e i servizi che stanno segnando questa fase di passaggio dell’economia globale in cui l’Europa, tra l’altro, stenta a far valere i propri valori. Il ricatto russo sul gas è, per ora, l’ultima conferma che vanno cambiati i parametri di riferimento: siamo in un’economia di guerra, in cui ogni punto percentuale di debito conta come un proiettile.

– Di qui la necessità per l’Italia di affrontare con urgenza la questione del debito pubblico che, come ha sottolineato Ignazio Visco, equivale a far ripartire la crescita utilizzando tutte le risorse a disposizione. Non c’è spazio per ridurre le tasse, né per puntare sulla ripresa dei consumi interni delle famiglie, come vorrebbero i partiti già lanciati verso le elezioni. Non ci sono complotti a Bruxelles o a Berlino. Semmai i nemici sono quelli che, dal catasto alle spiagge fino alla difesa di esenzioni e provvedimenti ad hoc, impediscono una riforma fiscale organica che premi il lavoro. 

– È una cornice scomoda per la Borsa italiana che pure può vantare discrete performance dell’industria manifatturiera e sul fronte dei servizi. Ma una spada di Damocle pesa sulle banche, zavorrate dall’accumulo di titoli pubblici a fronte dei quali non esiste alcun accantonamento sulla base del principio che gli Stati non possono fallire. In questi giorni è fallito l’ennesimo negoziato per dar vita all’Unione Bancaria. In sintesi: o l’Italia accetta di sottoporsi a strumenti di garanzia (il Mes o altro) oppure non c’è spazio per una vera integrazione finanziaria che permetta di contrastare l’impennata degli spread. Una rivoluzione per ora improponibile, anche se prima o poi il Bel Paese dovrà affrontare il tema del debito. 

Non resta che procedere a vista, senza farsi troppe illusioni: non sarà facile difendere i propri risparmi di fronte all’incubo inflazione. Ma nell’emergenza spunta l’ennesimo Btp Italia cui i risparmiatori risponderanno con prevedibile entusiasmo. Sono la nostra forza, usiamola bene.

— — — —

Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.

SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI

Leggi anche

SPY FINANZA/ La guerra nella guerra che viene dagli UsaLE MANOVRE DI BIDEN/ C’è un establishment che vuole ancora regolare i conti con la RussiaTRA PIL E DEBITO/ "Le scelte di Bce e Germania possono costare caro all’Europa”