Rinviata a settembre. È questo il giudizio sull’economia italiana emesso venerdì sera da Standard & Poor’s che ha confermato le tre B con outlook stabile. È il primo esame al quale seguiranno quelli delle altre agenzie di rating. I prossimi appuntamenti sono il 26 aprile con Dbrs (il suo rating è BBB-high con outlook stabile), il 3 maggio con Fitch (BBB, outlook stabile) e il 31 maggio con Moody’s (Baa3 con outlook stabile). Ma i voti più consistenti saranno quelli emessi nel round di autunno.
A dopo l’estate rimanda anche l’outlook del Fondo monetario internazionale nella sua riunione di primavera. D’altra parte è quello che di fatto ha detto lo stesso ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti presentando un Documento di economia e finanza che si limita a fotografare la situazione senza annunciare nulla su come, secondo il Governo, le cose dovrebbero cambiare. Prima ci saranno le elezioni europee, poi si dovrà insediare la nuova Commissione, e solo dopo si aprirà il negoziato con i Paesi dell’area euro che non rispettano i parametri, a cominciare proprio dall’Italia, dalla Francia e dal Belgio. Gli stessi che il Fmi ha messo sotto osservazione. Il debito eccessivo, un deficit ben lontano dal 3% sul Pil e una bassa crescita sono i tre fattori che rischiano di innescare una nuova crisi.
Standard & Poor’s ha confermato il suo rating; dunque, non è da attendersi domani nessun brutto rischio sui mercati finanziari. L’agenzia sottolinea che il debito è in risalita del 2,5% rispetto al Pil già quest’anno e le cose non cambieranno fino al 2027. Pesano i 40 miliardi per i crediti d’imposta generati dal Superbonus. Una stima che coincide con quella dell’Ufficio parlamentare di bilancio nella memoria consegnata al Senato. C’è l’ipotesi che il Governo possa spalmare i crediti in dieci anni, riducendo così l’impatto immediato sul debito, ma pesa in ogni caso, come spiegano sia S&P sia il Fmi, il rallentamento della congiuntura.
L’Italia continua crescere, ma a passo lento, meno dell’1% e questo non aiuta a ridurre il rapporto debito/Pil. La bassa crescita non è un problema solo italiano, come ha sottolineato il governatore della Banca d’Italia Fabio Panetta, tuttavia un fardello da 3mila miliardi di euro è una zavorra che pesa sul presente e sul futuro, togliendo ogni spazio di manovra alla politica fiscale.
Il Def ha ridimensionato la crescita, sia quella reale sia quella nominale, la prima di 0,2% la seconda di 0,4%, nonostante ciò ha scommesso su un aumento del Pil di un punto percentuale che sembra eccessivo rispetto alle stime del Fmi, della Banca d’Italia e dell’Ue: nessuno di loro si spinge oltre lo 0,6% o 0,7%. Una questione di pochi decimali che però determina la possibilità di confermare l’alleggerimento fiscale confermato da Giorgetti senza per questo mettere in cantiere pesanti tagli alla spesa pubblica. Si cammina, insomma, sulle uova, con il rischio di fare una frittata.
È ormai chiaro che l’Italia sarà inclusa tra i Paesi sottoposti procedura per deficit eccessivo (Excessive Deficit Procedure) visto l’ampio sforamento rispetto al tetto del 3% del Pil nel 2023 e nel 2024. Questa decisione verrà presa entro il 21 giugno e, nella stessa data, la Commissione invierà agli interessati il quadro di correzione che dovranno considerare per la preparazione dei loro piani. Alla luce di esso, i Governi dovranno comunicare le loro intenzioni alla Commissione entro il 20 settembre.
I Paesi in EDP sono chiamati a ridurre il deficit “con un miglioramento strutturale minimo dello 0,5 per cento del Pil come soglia”. L’Italia deve scoprire le proprie carte e concordare con la Commissione Ue il primo piano fiscale strutturale, cioè il piano di rientro del debito su un orizzonte di sette anni previsto dalla riforma del Patto di stabilità. Lì cominceranno davvero a chiarirsi i prossimi passi per i conti pubblici, e le leve reali nelle mani del Governo per la crescita del Pil, essenziale per tenere a bada il debito pubblico.
È questa la priorità e non sarà sufficiente spalmare il Superbonus e nemmeno eliminarlo, secondo il parere di Alfred Kammer, direttore del dipartimento europeo del Fmi: “L’Italia ha fatto alcune riforme, ma può fare di più”, è la sua conclusione. Non basta mettere tutte le speranze sull’impatto del Pnrr, anche perché parte degli investimenti sono a debito, seppur con tassi d’interesse favorevoli. Serve un nuovo programma a medio termine che abbia al centro l’aumento della produttività, non tanto della quantità di risorse pubbliche.
Dunque, finite le fibrillazioni elettorali, passata un’estate che si prevede calda meteorologicamente, ci attende un autunno denso di nubi che annunciano tempeste. “La prossima crisi è dietro l’angolo, bisogna prepararsi”, dice Kammer. Incrociamo le dita.
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