Lasciata alle spalle una settimana contraddistinta dalle previsioni allarmanti del Fondo monetario internazionale sulla crescita del debito pubblico italiano e terminata con la “promozione” di Standard & Poor’s, che ha deciso di lasciare invariato il rating sui titoli di stato del nostro Paese, quella nuova si è aperta con un nuovo “alert” sui conti pubblici. Istat, infatti, ha fatto sapere che il 2023 si è chiuso con un deficit pari al 7,4% del Pil, in crescita rispetto al 7,2% stimato appena il mese scorso. Come spiega l’ex direttore del Sole 24 Ore, Guido Gentili, «questo peggioramento è probabilmente dovuto all’effetto dei bonus edilizi, in particolare del Superbonus. L’andamento del deficit del 2023, per il quale si spera non ci siano altre revisioni negative, unito all’incertezza sulla crescita del Pil nel 2024, rappresenta una grossa complicazione per l’Italia».
A proposito di crescita del Pil di quest’anno, il Centro Studi di Confindustria la settimana scorsa ha rivisto le sue previsioni al rialzo (da +0,5% a +0,9%) portandole vicino a quelle del Def (+1%)…
Al momento è però l’unico centro studi ad aver operato una revisione in questa direzione. Sappiamo anche che l’impatto del Pnrr, ritenuto importante nelle stime del Centro Studi di Confindustria, si farà sentire, se non ci saranno ritardi, verso la fine dell’anno. Per il Governo diventa fondamentale riuscire a tenere sotto controllo il debito, ma non è un compito facile.
Il dato comunicato dall’Istat è stato trasmesso alla Commissione europea ed è già certo che il 18 giugno verrà aperta una procedura d’infrazione nei confronti del nostro Paese. Da qui alle elezioni europee quello dei conti pubblici non sarà un problema per il Governo?
Il dato dell’Istat ha riacceso un po’ i fari su questo tema, che altrimenti sarebbe lentamente scivolato via. Mi sembra che l’apertura della procedura d’infrazione nei riguardi dell’Italia sia una questione ormai digerita anche dai mercati. Politicamente ritornerà fuori il tema di come finanziare la proroga del taglio del cuneo fiscale e della riduzione delle aliquote Irpef, per la quale servono circa 20 miliardi di euro. E credo che il Governo prima dell’estate non alzerà il velo su come intenda farlo. Di certo, però, non potrà più ricorrere al debito, questo è il punto centrale.
L’Italia non sarà il solo Paese destinatario di una procedura d’infrazione. Questo ci aiuterà nelle discussioni che ci saranno sui tavoli europei anche su come applicare le nuove regole del Patto di stabilità?
Certamente. La situazione della Francia, che per quel che riguarda il deficit è pesante quasi come la nostra, aiuterà. Non a caso Parigi aveva tenuto una posizione più aperturista sulla riforma del Patto di stabilità. Soprattutto aiuterà il fatto che tutto quel sistema di regole deve essere ancora chiarito nei dettagli e nessuno avrà interesse in quella fase a strappare, anche perché contemporaneamente ci saranno tutte le fasi di passaggio tra vecchia e nuova Commissione e tra vecchio e nuovo Consiglio europeo.
Per l’Italia sarà, quindi, fondamentale presidiare i tavoli europei.
Sì, soprattutto occorrerà farlo in modo intelligente, cercando di evitare scontri e toni accesi eurocritici con le istituzioni comunitarie. Ma per evitare strappi degli altri e dei mercati, l’Italia dovrà anzitutto non strappare al suo interno.
Dunque la partita è più complicata sul fronte interno che non su quello europeo?
Credo di sì. In Europa la situazione è quella che abbiamo descritto, con incertezze, anche sul risultato delle elezioni, e necessità di vederci chiaro sui dettagli delle regole fiscali. Sarà difficile, quindi, vedere degli strappi. Viceversa sul fronte della politica interna non mancano tensioni in generale, anche nella maggioranza, e le europee vengono vissute come test per misurare i rapporti di forza. Se si determineranno nuovi equilibri, inevitabilmente si ripercuoteranno anche sulla messa a punto della politica economica e delle scelte che si devono fare per il 2025 con la Legge di bilancio.
I mercati aspetteranno la manovra d’autunno o avranno bisogno di qualche rassicurazione prima?
Sarà importante continuare a mantenere un approccio prudente di politica economica: Giorgetti e la Meloni hanno sempre tenuto la barra dritta su questo tema. Se questo rimane il quadro non credo che avremo degli scossoni fino alla Legge di bilancio. Chiaramente se nella manovra ci sarà un deragliamento da quella linea prudente, sarà sicuramente iper valutato, in primis dai mercati.
Sarebbe meglio, quindi, che alla guida del Mef restasse Giorgetti?
Giorgetti è riuscito finora a tenere la barra dritta sull’approccio prudente e allo stesso tempo a contemperare le esigenze della maggioranza in un complesso accordo interno. Se non ci fosse più lui al Mef bisognerebbe vedere anzitutto chi sarebbe il suo successore, verosimilmente un nome politico e non tecnico. Certamente, però, i mercati vorranno verificare la continuità o meno della rotta prudente che è stata mantenuta negli ultimi anni. Cambiare il ministro dell’Economia rappresenterebbe, quindi, un passaggio rischioso in più.
(Lorenzo Torrisi)
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