È realistico ipotizzare un “rafforzamento dell’indipendenza del nostro approvvigionamento energetico europeo” come ha detto il ministro degli Esteri tedesco Annalena Baerbock alla Stampa? Lo abbiamo chiesto a Paolo Quercia, docente di studi strategici nell’Università di Perugia e direttore della rivista GeoTrade. Per Quercia la transizione energetica soffre di un approccio ideologico che sacrifica le soluzioni – il mix energetico – e il metodo, la politica estera. E l’Italia deve darsene una, al più presto.
“L’indipendenza è una via complessa, spesso utile o necessaria ma teoricamente anche pericolosa. Per l’Europa è una strada da tentare, ma con grande prudenza, ricordandosi che c’è sempre un prezzo da pagare”.
Che cosa intende?
L’autarchia rende normalmente i beni più costosi, mentre il commercio e la competizione li rende meno cari e spesso più disponibili. L’alternativa non è solo tra importare o produrre in casa, ma piuttosto nel riuscire a diversificare i fornitori e metterli in competizione tra di loro. E questo si fa con la politica estera, non con la politica energetica. O meglio con una geopolitica dell’energia. Ma non basta.
Sta dicendo che serve un mix energetico?
Non solo. Occorre integrare il più possibile i mix energetici perché la diversificazione dei prodotti rende possibile la diversificazione geopolitica dei fornitori. La situazione peggiore ovviamente è quella di dipendere da un unico combustibile venduto da un unico fornitore. La migliore è avere un mix energetico ben bilanciato preveniente da più fornitori e a prezzi sostenibili.
Insomma sono tante le cose da quadrare.
Sì. E spesso nel perseguimento della sicurezza energetica ci si dimentica del fattore prezzo, e pur di non dipendere da qualcuno siamo disposti a pagare un prezzo più elevato la nostra energia. Il dilemma è proprio quello di capire quanti punti percentuali in più di prezzo dell’energia vale la nostra sicurezza energetica e valutare se ci sono sistemi alternativi per ottenerla.
Mi pare che stia definendo un approccio molto lontano da quello europeo…
Considerando che l’energia non è un comune bene di mercato ma un bene strategico e che gli investimenti ed i contratti abbracciano periodi molto lunghi nel tempo, è chiaro che si tratta di un equilibrio molto difficile da perseguire. Che necessita di tanti aggiustamenti e non di posizioni ideologiche granitiche.
Quindi?
Mi chiedo se l’Europa abbia raggiunto la necessaria maturità strategica e geopolitica per un’indipendenza energetica su base continentale.
Come si colloca in questo quadro la scelta di insistere a oltranza sulla transizione ecologica?
Credo che la transizione ecologica sia un’arma importante in un mondo carico di troppe tensioni geopolitiche. Ma che, al di là dei legittimi aspetti ambientali, sia anche una forma di autarchia e una ricerca di protezionismo per uscire da una globalizzazione che non ci piace più. Un’ampia parte del mondo rimarrà fuori dalla nostra transizione ecologica, ammesso che la compiremo realmente nei tempi e nella portata prevista. Che si farà con questi Paesi che resteranno al di fuori? Si potrà commerciare con loro? O dovremo mettere dazi e tariffe ambientali per evitare la concorrenza dei Paesi che usano energia meno costosa perché più inquinante o comunque prevalentemente prodotta con idrocarburi?
Lei cosa dice?
Non è possibile adesso dare risposte. Ma ci sono i presupposti per una rivoluzione di tutto il commercio internazionale e degli stessi fondamentali della globalizzazione.
Nonostante la transizione ecologica aumenti il rischio di inflazione, sarebbe un errore se i governi facessero marcia indietro, ha detto Isabel Schnabel (Bce). Non solo: la Bce potrebbe ridurre lo stimolo economico prima del previsto. Come commenta?
L’aumento dei prezzi può certamente essere guidato dalla transizione energetica, ma anche da tanti altri fattori legati all’energia tradizionale. Penso che la migliore strategia sia di affiancare e non sostituire i diversi tipi di energia e di farlo in un arco di tempo che non surriscaldi troppo il mercato. Anche perché potremmo finire per modificare i Paesi da cui dipendiamo. Anche l’energia cosiddetta verde ha le sue dipendenze dall’estero. Gli incentivi e i divieti sono necessari per spingere la transizione, ma non possono diventare i liquidatori dei nostri sistemi industriali.
Se poi pensiamo che in Europa non siamo tutti allo stesso livello…
Infatti la competitività è estremamente diversa, così come le esigenze industriali e manifatturiere. Ci sono paesi europei, e l’Italia è uno di questi, in cui abbiamo necessità di una nuova industrializzazione. La politica deve tenerne conto e governare la transizione energetica, non esserne travolta.
Il patto franco-tedesco su cui si regge l’Ue resisterà alla crisi energetica, con la Francia votata al nucleare e la Germania che sceglie le rinnovabili ed è gas russo dipendente?
Non vedo un conflitto energetico tra Francia e Germania per via dei diversi mix. Casomai ci vedo lo specchio di due diverse politiche estere. Più nazionalista e autarchica quella francese, più mercantilista a pacifista quella tedesca. Diciamo che la transizione energetica porterà un maggiore grado di convergenza alle politiche energetiche nazionali. I problemi dell’Europa non sono energetici, ma politici, culturali ed in ultima analisi linguistici.
Cosa può fare l’Italia che non è nella posizione di scommettere sulla Russia e ha perso posizioni nel Mediterraneo?
Giocarci il tutto per tutto in Libia, riemergere nel Mediterraneo, recuperare credibilità nei rapporti Est-Ovest e tornare ad essere un ponte geopolitico tra Europa, Russia e Turchia. In 10 anni ci potremmo rimettere in piedi e riprendere il nostro ruolo unico che possiamo giocare per la stabilità del Mediterraneo e dell’Europa orientale.
Sembra facile…
Io credo, ma mi rendo conto di essere molto in minoranza, che sia proprio la politica estera la chiave per risolvere buona parte dei problemi interni dell’Italia. Un po’ come avvenne negli anni 50 e 60, quando ci risollevammo grazie alle scelte di politica estera ed energetica.
Questione di scelte o di uomini?
Purtroppo quell’Italia distrutta ed impoverita dalla guerra aveva degli uomini ed una classe dirigente ancora capace di vedere le interconnessioni tra politica estera e interesse nazionale e che oggi mancano drammaticamente.
(Federico Ferraù)
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