L’ultima riunione dell’anno del Federal open market committee (Fomc) della Federal Reserve ha lasciato in eredità l’aspettativa di due soli tagli dei tassi di interesse da parte della Banca centrale americana nel 2025, contro i quattro precedentemente stimati. Un cambio di scenario che potrebbe avere riflessi anche sulle scelte della Bce? «In teoria non più di tanto, dipenderà anche dall’entità dei tagli. Ma soprattutto da quello che effettivamente farà Trump una volta che si sarà insediato», risponde Luigi Campiglio, Professore di Politica economica all’Università Cattolica di Milano.
Si temono, in particolare, i dazi…
E le misure protezionistiche potrebbero costituire una pressione al rialzo per l’inflazione negli Stati Uniti, rallentando la discesa dei tassi di interesse. Di fatto, per la politica monetaria americana, e di riflesso quella europea, questo è un momento di attesa.
Se i tassi di interesse resteranno più elevati negli Stati Uniti potrebbe anche crearsi, tra le due sponde dell’Atlantico, un differenziale tra i rendimenti dei titoli di stato penalizzante per i Paesi dell’Eurozona?
Più che altro si rischia di creare un problema per i conti pubblici dei Paesi più indebitati, perché il fatto che l’anno prossimo non ci saranno più i riacquisti di titoli di stato da parte della Bce comporterà un aumento dei rendimenti per i bond sovrani dell’Eurozona. Quanto questi rendimenti saranno lontani da quelli dei titoli di stato americani dipenderà, anche in questo caso, dalle politiche che metterà in campo l’Amministrazione Trump.
Non pensa che nel frattempo l’Ue stia trascurando troppo la situazione della sua industria, visto che al momento è stato solo annunciato, per gennaio inoltrato, un tavolo sul futuro dell’automotive?
Decisamente. Tutta l’industria, al di là dell’automotive, è in sofferenza, non solo nel nostro Paese. E le prospettive non sono rosee. Manca una vera strategia in Europa sul tema, anche solo a livello di annuncio. Temo che questo dipenda anche dall’attesa per quello che accadrà dopo il 20 gennaio, data dell’insediamento di Trump alla Casa Bianca. Un’attesa che porta con sé anche un certo grado di incertezza che non aiuta a prendere decisioni.
L’economia europea appare in una fase di stagnazione, ma c’è una sorta di anomalia evidente: la Spagna, che ha tassi di crescita simili a quelli degli Usa. Da cosa dipende, secondo lei, la performance dell’economia iberica?
Ho letto qualche analisi da cui sembrerebbe che questa performance dell’economia spagnola dipenda dall’aumento della forza lavoro, grazie soprattutto a un ingresso quasi “automatico” nelle sue fila degli immigrati. Sembrerebbe, quindi, che i flussi migratori in Spagna abbiano dato un contributo positivo a un miglior utilizzo delle strutture dell’impianto economico del Paese.
È una spiegazione che la convince?
In qualche aspetto potrebbe anche essere plausibile, ma complessivamente non mi convince. In particolare, non penso che l’aumento della competitività della Spagna possa ricondursi solamente ai fattori citati. Cercherò di analizzare meglio la situazione del Paese iberico per cercare di capire le ragioni del suo successo economico.
Guardando, infine, all’Italia, cosa pensa della Legge di bilancio ormai prossima all’approvazione definitiva da parte del Parlamento?
Mi sembra che sia una manovra di transizione, che cerca prudentemente di fare quello che è possibile senza creare situazioni di squilibrio nei conti pubblici, anche per via delle incertezze nel quadro internazionale di cui abbiamo parlato finora. Speriamo che oltre a quelli che potrebbero arrivare dagli Stati Uniti non sopraggiungano altri fattori esogeni a scombussolare il quadro, rendendo più difficile la situazione del nostro Paese.
(Lorenzo Torrisi)
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