A metà dicembre, si riuniscono l’organo di governo dell’autorità monetaria americana (il 13 e il 14 del mese) e della Banca centrale europea (il 15) e si avrà un chiarimento su quello che sarà il contenuto della politica monetaria nei prossimi mesi. Soprattutto se si eviterà un 2023 caratterizzato da recessione accompagnata dal persistere di una forte inflazione.
I mercati azionari americani sono saliti rapidamente dopo che mercoledì scorso Jerome Powell, il Presidente della Federal Reserve, ha dichiarato che “il tempo per moderare il ritmo degli aumenti dei tassi” è imminente. L’indice S&P 500 è balzato del 3% al suo suggerimento che i tassi di interesse sarebbero aumentati solo di mezzo punto percentuale a dicembre, dopo quattro aumenti consecutivi di tre quarti di punto. Il Dow Jones è uscito dal territorio ribassista. Anche le valute asiatiche sono balzate, sulla prospettiva che il dollaro perda terreno.
Attenzione, i punti di vista all’interno dell’organo di governo (l’Open Market Committee) non sono unanimi. Il Presidente della Federal Reserve di New York, John Williams, ha ribadito giovedì in un’intervista televisiva la sua convinzione che saranno necessari ulteriori aumenti dei tassi di interesse per ridurre i livelli elevati di pressione sui prezzi. “Penso ancora che abbiamo una strada da percorrere in termini di dove è l’obiettivo dei fondi federali e dove dobbiamo portarlo al prossimo anno e tenere la posizione sufficientemente restrittiva” della politica monetaria, ha detto Williams in un’intervista a Fox Business Network. I mercati azionari hanno risposto con un leggero ribasso negli ultimi giorni della settimana.
Differenze profonde anche all’interno dell’eurosistema e specificatamente del Consiglio direttivo della Bce. Molto chiara la presentazione fatta il 29 novembre da Isabel Schnabel (che fa parte dell’Esecutivo dell’Istituto) all’IG MetallKonjunkturgespräch (un convegno organizzato da uno dei maggiori sindacati tedeschi – quello dei metalmeccanici), se si continua sulla strada intrapresa, all’inizio del 2024 l’eurozona avrà in media un tasso di crescita e un tasso d’inflazione ambedue sul 2% l’anno circa. Quindi, tenere la barra dritta e non cedere alla tentazione di rallentare per il momento i freni monetari.
Questa è, però, un’inflazione che è diversa da molte altre non solo perché accoppiata, per il momento, con una stagnazione che minaccia di diventare recessione. Ci ricorda Stefano Manzocchi della Luiss (e direttore della prestigiosa Rivista di Politica Economica) che secondo Milton Friedman l’inflazione è sempre un fenomeno monetario, che dipende da domanda e offerta di moneta. Tuttavia, i cambiamenti nel sistema dei prezzi relativi – specie se concentrati in un breve lasso di tempo – si accompagnano quasi inevitabilmente con scostamenti nella dinamica dell’inflazione. Da febbraio – rileva Manzocchi – abbiamo assistito a uno stravolgimento nel quadro d’insieme dei prezzi relativi cui eravamo abituati negli ultimi anni. Un aumento verticale dei prezzi dell’energia, seguìto dal balzo dei tassi d’interesse che sono il prezzo relativo della liquidità, e dal calo repentino del corso dell’euro rispetto al dollaro. Nell’area dell’euro, questi repentini mutamenti dei prezzi relativi hanno corrisposto ad altrettanti shock che arrivavano dall’esterno. Prima i rincari e la speculazione che hanno sconvolto i prezzi di energia e materie prime, iniziati ancor prima della guerra in Ucraina ma esacerbati da essa. Poi la svolta della politica monetaria della Fed che ha inevitabilmente richiesto, assieme al caro-energia, una replica da parte della Bce. E infine il rafforzamento del dollaro, valuta-rifugio in tempi di instabilità globale, sostenuto appunto anche dall’aumento dei tassi Usa.
Questo quadro solleva molti interrogativi per le politiche che a metà dicembre tracceranno per il 2023 le autorità monetarie americane ed europee. Probabilmente ci sarà un rallentamento degli aumenti dei tassi (l’arma principale di cui dispongono), ma non l’inizio di una riduzione, da preconizzare quando saranno tornati in un alveo corretto i prezzi del gas, degli olii minerali in generale e dei prodotti alimentari. Tutti beni, la cui domanda è rigida (più correttamente anelastica) e la cui offerta dipende dall’evoluzione della guerra in Europa orientale scatenata dall’aggressione russa all’Ucraina.
Ciò ha non poche implicazioni per la discussione sul disegno di legge del bilancio in questi giorni in Parlamento. I vincoli sono tali che non c’è spazio per “manovrare la manovra”. Se del caso in primavera si potrà pensare a una “finanziaria bis”, come si è fatto più volte negli anni Ottanta del secolo scorso.
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