Non tragga in inganno il “volemose bene” dei tre tenori del centrodestra declamato dal palco della quarta forza della coalizione, i “Noi Moderati” di Maurizio Lupi. Non perché sia fasullo. Semplicemente perché è una unità obbligata, perché oggi questo governo e questa maggioranza non hanno alcuna alternativa.
Dopo giorni burrascosi Meloni, Tajani e Salvini esprimono con parole differenti lo stesso concetto: siamo forze diverse, possiamo litigare, ma siamo destinate a rimanere insieme. Un segnale di toni destinati ad abbassarsi da cui non è di certo estraneo il recente, “misterioso” pranzo al Quirinale della premier con il presidente della Repubblica, preoccupato dello sciame sismico all’interno della coalizione di centrodestra. Il messaggio sembra essere arrivato anche ai vicepremier, anche se ora si tratta di dimostrare che la tregua regge per davvero ed evitare altri sgambetti nel corso della sessione di bilancio, che già di per sé rappresenta un momento delicato per la tenuta di qualsiasi governo.
Una piccola ma significativa sponda a Giorgia Meloni è offerta proprio dall’operazione centrista di Maurizio Lupi, che conta oggi gruppi parlamentari autonomi alla Camera ed al Senato rispettivamente con 10 e 8 rappresentanti. Il nuovo simbolo, un ponte tricolore, rappresenta il progetto in maniera efficace: essere il punto di contatto fra mondi diversi, perfetto per essere percorso in entrambe le direzioni, sia per chi dovesse avvicinarsi all’area di governo dall’attuale opposizione, sia per chi nei tre attuali contenitori maggior dovesse sentirsi a disagio. È già stato utile per dare una casa a Mara Carfagna, Maria Stella Gelmini e Giusy Versace, che hanno detto basta a Calenda e hanno preferito non tornare all’ovile di Forza Italia. Ed è evidente che si tratta di un supporto alla leadership meloniana anche nei confronti di eventuali tentazioni azzurre a smarcarsi in direzione centrista, o addirittura di centrosinistra: qualora Tajani (o qualcuno con il cognome del fondatore) ci dovesse provare, la via di fuga è pronta. E dalle parti di Palazzo Chigi questo scenario non viene del tutto escluso.
La forzata tregua all’interno della coalizione sarà utile per risolvere anche il problema della sostituzione di Raffaele Fitto, entrato ufficialmente in carica come vicepresidente della Commissione europea. È praticamente sicuro che Meloni ne abbia parlato con Mattarella e che i tempi della decisione saranno molto stretti. Scartata l’ipotesi dello “spacchettamento” delle quattro deleghe di Fitto (Politiche europee, PNRR, Sud e Coesione), prevalente è la voce secondo cui le materie potrebbero rimanere unite e sempre sotto l’ombrello di Palazzo Chigi, come accade per tutti i ministri senza portafoglio. Certo, Fitto era Fitto e contava più di molti ministri con portafoglio. Ma l’idea che al suo posto possa sedere un tecnico (anzi, una tecnica, Elisabetta Belloni) non è mai decollata sul serio. Sarà un politico, allora, e sarà di Fratelli d’Italia, nel segno della continuità.
Il primo nome sul taccuino di Meloni è quello dell’esperto Tommaso Foti, attuale capogruppo a Montecitorio. Per età e cursus honorum sarebbe perfetto, ma con un handicap a frenarlo, l’essere del Nord, piacentino nella fattispecie. Visto il tipo di deleghe, un profilo che abbia le proprie radici nel Sud sarebbe probabilmente più adatto agli occhi di molti. I nomi alternativi che circolano sono quelli di Wanda Ferro, sottosegretaria catanzarese all’Interno, e di Edmondo Cirielli, viceministro degli Esteri, salernitano. Esperti e fedelissimi, entrambi meritevoli di promozione. E se la scelta di Meloni fosse fra Ferro e Cirielli ci sarebbe un terzo posto di sottosegretario libero, dopo quelli lasciati vacanti nel corso di questi due anni dalle dimissioni di Augusta Montaruli e Vittorio Sgarbi. Ce ne sarebbe abbastanza per un mini-rimpasto, anche se sinora la premier ha evitato ogni ritocco non necessario alla squadra di governo: unica eccezione la sostituzione (inevitabile) di Sangiuliano con Giuli. Un equilibrio tanto delicato come quello della maggioranza attuale meno si tocca e meglio è.
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