Mes, Pnrr, nuovo Patto, tassi, inflazione, recessione, debito, nomine europee: i problemi s’accumulano, ma Giorgia Meloni ha deciso di prendere tempo. Sul Fondo salva-Stati e salva banche c’è un rinvio di quattro mesi, fino a ottobre, quando si dovrà decidere. Più o meno in quel periodo arriverà a conclusione il confronto sul nuovo Patto di stabilità e crescita (i famigerati parametri del 3% per il deficit pubblico rispetto al Pil e del 60% per il debito), mentre bisognerà scegliere chi sostituirà Fabio Panetta, nominato governatore della Banca d’Italia, nel Consiglio direttivo della Bce e chi andrà a presiedere la Banca europea degli investimenti per la quale c’è un candidato italiano in pectore (Daniele Franco) che dovrà vedersela con la danese Margrethe Vestager, la “zarina della concorrenza” vicepresidente della Commissione. Si spera che nel frattempo sia chiaro se e come verrà aggiustato il Pnrr e che sia entrata nelle casse dello Stato la quota di 19 miliardi di euro rinviata perché all’Ue non tornano i conti delle spese programmate. Non basta. A ottobre lo scenario economico sarà diverso da quello che abbiamo visto nella prima metà di quest’anno.
La crescita finora superiore al previsto rallenterà, speriamo non troppo, ma la curva punta ben sotto l’1%, quindi il Governo non potrà vantare un’economia che va meglio delle altre. La recessione tedesca per l’Italia è un guaio, visto l’intreccio strettissimo tra le due economie e le imprese manifatturiere. Aggiungiamo alla nostra geremiade due fattori nient’affatto secondari. La frenata italiana ed europea è conseguenza del rialzo del costo del denaro. La marcia dei tassi non si fermerà (un nuovo incremento è già previsto per questo mese nella riunione di giovedì 27), anche perché l’inflazione di fondo, cioè escluse le materie prime e il cibo fresco, resta superiore al 5%.
Questa inflazione “appiccicosa”, com’è stata definita, complica enormemente il compito della banca centrale. Siamo andando verso un clamoroso fallimento, ha scritto il Financial Times a proposito non solo della Bce, ma anche della Banca d’Inghilterra, perché nel Regno Unito l’inflazione è ancor più alta che nella zona euro. Forse è un giudizio eccessivo, però le cose non vanno bene nemmeno in Italia dove i prezzi salgono a giugno del 6,4% su base annua (era a +7,6% il mese precedente) anche se sono caduti nettamente i costi energetici. Dunque, c’è una componente endogena che spinge in alto, più resistente di quella esogena (attenti a non sbagliare e invertire i termini) che porta verso il basso. Solo la Spagna va controcorrente con i prezzi scesi a un tasso del 2% (là sì che l’inflazione è soltanto esogena).
In sostanza, il Governo sta mettendo troppe uova in un solo paniere sperando di passare l’estate e sfruttare il boom turistico come pillola anti-depressiva. Il rischio è che le uova si rompano provocando una gran frittata. L’idea di scambiare l’approvazione del Mes con un Patto di stabilità più favorevole è molto rischiosa. Mentre una conflittualità più o meno permanente con Bruxelles non è certo un assist per nomine italiane alla Bei e alla stessa Bce. Soprattutto c’è l’inghippo del Pnrr che ha una ricaduta sia sulla congiuntura che sul debito pubblico.
Il primo effetto è evidente: i ritardi nella messa in opera impediscono di usare gli investimenti infrastrutturali e l’apertura dei cantieri come antidoti alla riduzione della domanda interna. Con un impatto automatico anche sui conti pubblici, perché minor crescita vuol dire anche minori entrate fiscali. Il secondo è meno appariscente, ma forse ancor più pericoloso. Lo spiegava ieri Fabrizio Goria sulla Stampa. I 19 miliardi di euro che non arrivano possono creare un buco al quale il ministro Giorgetti cerca di trovare rimedio con nuove emissioni di titoli di debito. Sarebbero, secondo le stime del Tesoro, una ventina di miliardi, l’equivalente della seconda tranche del Pnrr. Nel complesso l’Italia dovrà emettere 432 miliardi di euro quest’anno contro i 316 del 2022. Intanto gli interessi passivi sul debito sono diventati più onerosi tra i 70 e gli 85 miliardi l’anno.
Non c’è spazio né tempo per chi vuol menare il can per l’aia, e in questo scenario (del tutto realistico) bisogna sciogliere il nodo del Mes. Si sente dire in tv e si legge su alcuni giornali che il fondo va bene solo per la Germania la quale ha ottenuto agevolazioni. In realtà, s’è messa di mezzo la Corte suprema la quale ha sentenziato che le condizioni alle quali vengono concessi gli aiuti devono essere trasparenti e l’ultima parola spetta al parlamento. È quel che ha proposto Mario Monti per uscire dall’impasse, ma il meccanismo alla tedesca non è stato apprezzato. Se il Governo volesse portare avanti la sua sfida, dovrebbe dire chiaramente che cosa fare. Finora si è capito che cerca di introdurre trattative caso per caso, sia a proposito del Mes, sia nel Patto di stabilità, nessuna regola fissa, né numeretti, né criteri uguali per tutti. Temporeggiare sperando di sbrogliare l’intera matassa “in zona Cesarini” sembra una tattica avventata. Molto meglio se il Governo spiega in modo trasparente i suoi obiettivi su ogni singolo dossier (compresi i candidati per Bei e Bce), anche perché non sono tutti uguali né scambiabili l’uno con l’altro.
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