I ristori ai ristoranti. Non è un facile gioco di parole, perché tra ristori e ristoranti si gioca il presente del Governo. Il futuro invece dipende da che cosa accadrà al piano per la ripresa. All’ultimo momento i ristoranti hanno ottenuto altri 645 milioni (400 per quest’anno, il resto per il 2021), e siamo sicuri che non basteranno, certo non ai ristoratori che continueranno a protestare durante tutto quest’inverno dello scontento e anche oltre. Non basteranno mai a chi sarà costretto a chiudere per sempre e i ristoranti diventano così paradigma di un’emergenza senza fine. I ristori sono gli strumenti con i quali il Governo ha affrontato questa emergenza senza fine, ma quanto ancora si può continuare?
La manovra in Parlamento cambia giorno dopo giorno, ritocco dopo ritocco. Qualche esempio? Non c’è che l’imbarazzo della scelta. Per i danni subiti dai gestori aeroportuali si arriva a 500 milioni: non bastano nemmeno questi, Fabrizio Palenzona che presiede l’associazione di settore voleva un miliardo. Altri 145 milioni per il Mediocredito centrale a sostegno dell’export: saranno sufficienti? Certo che no, visto il crollo subito quest’anno. Per gli alberghi c’è l’esenzione della prima rata Imu 2021. Basta agli albergatori? La risposta è ovviamente negativa. E poi voucher di 500 euro al mese per le babysitter, sgravi contributivi per sostituire una lavoratrice in maternità. Bonus, sussidi, debiti su debiti, debiti necessari, ma debiti cattivi se vogliamo usare la distinzione introdotta da Mario Draghi. In attesa dei debiti buoni, quelli che dovrebbero finanziare il ritorno alla crescita e che, invece, sembrano fuori dall’orizzonte del Governo. Un orizzonte limitato dal tempo che resta: se non ci saranno rese dei conti anticipate, un anno o poco più, fino all’elezione del presidente della Repubblica.
I debiti buoni, quelli che finanziano gli investimenti, hanno un tempo necessariamente più lungo e una ricaduta non immediata in termini di consenso elettorale. Quindi, non interessano a chi già calcola i voti da guadagnare. È un atteggiamento trasversale, che riguarda sia i partiti di governo, sia l’opposizione la cui critica al Governo è all’insegna della quantità, non della qualità: più ristori, non più investimenti. Proprio qui, invece, sta la chiave del futuro prossimo venturo.
Lo ha ricordato ancora una volta Ignazio Visco. “Le proiezioni per i prossimi anni – ha detto il governatore della Banca d’Italia giovedì scorso – suggeriscono che il Pil non recupererà il livello registrato alla vigilia dello scoppio della pandemia, prima della seconda metà del 2023“. La seconda metà del 2023! Val la pena ripeterlo in modo che non sfugga la gravità della situazione. “Ancor più tempo – ha aggiunto Visco – sarà necessario per tornare ai valori del 2007, precedenti la doppia recessione causata dalla doppia crisi finanziaria globale e quella dei debiti sovrani dell’area euro. Si tratterà, quindi, di un sostanziale ristagno dell’attività economica nel complesso di circa un ventennio”. Vent’anni di pausa, anzi di declino. Una generazione arriva alla maggiore età senza aver visto la crescita. Altro che decrescita felice!
La via d’uscita non è il gioco al rialzo per avere più assistenza, ma ristrutturare e riconvertire le attività produttive avendo come parametro la produttività, sostiene il Governatore, il quale sottolinea che “la nostra struttura produttiva è rimasta sbilanciata verso imprese molto piccole che dispongono di pochi mezzi per innovare”. I fondi per la ripresa, i 209 miliardi del Next Generation Eu, dovrebbero servire proprio a compiere il salto di qualità che né le imprese private, a parte un’avanguardia ancora ristretta, né lo Stato con i sussidi e i ristori, sono in grado di fare. Il piano del Governo non è ancora noto, se non per un elenco di capitoli e pagine vuote, ma da quel che si capisce il serio rischio è che non sia così, perché il grosso delle risorse sarà destinato a coprire spese correnti che andavano comunque fatte e sono rimaste nei cassetti dei ministeri.
La settimana scorsa si è fatto sentire di nuovo anche Mario Draghi con il rapporto messo a punto per il gruppo dei 30, il think tank di consulenza su questioni di economia monetaria e internazionale. “Stiamo entrando in una nuova era – ha detto durante la presentazione – nella quale saranno necessarie scelte che potrebbero cambiare profondamente le economie”. Lo sforzo compiuto finora, sotto la spinta dell’emergenza, “è stato ben fatto, era necessario”, ha aggiunto, ma ora occorre passare a una fase molto più delicata perché più selettiva: “Chi dovrà decidere quali compagnie dovranno essere aiutate?”, è uno degli interrogativi, ha spiegato Draghi, a cui il rapporto cerca di rispondere. Tocca a ogni singolo Governo individuare le proprie priorità. Sarà importante la collaborazione pubblico-privato. Gli interventi devono puntare al capitale finanziario delle imprese e meno sui prestiti, come invece è avvenuto nella prima fase che ha creato il rischio di un sovraccarico di debiti sulle aziende. I finanziamenti pubblici potrebbero essere trasformati in pacchetti azionari e le risorse pubbliche in generale dovrebbero servire a incentivare il rafforzamento del capitale.
Altro che ristori ai ristoranti. Il Governo non ha fatto una piega, nemmeno il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri che si dice sensibile ai consigli dell’ex presidente della Bce. Sarà forse perché l’ombra di Draghi turba i sonni di un Giuseppe Conte, il quale, sotto il tiro incrociato della sua stessa maggioranza, sembra sull’orlo di una crisi di nervi.