Un Consiglio dei ministri per accelerare il Pnrr più la Legge di bilancio per il 2022: si apre una settimana cruciale per il Governo. I due appuntamenti sono strettamente collegati perché la politica fiscale del prossimo anno dovrebbe fare da pendant alla realizzazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza. L’una e l’altro, a loro volta, sono gli strumenti indispensabili a trasformare il rimbalzo del 2021 in crescita di medio periodo.



Mario Draghi se ne rende ben conto, ma deve risolvere un dilemma non facile. Tutti sono sorpresi e alcuni meravigliati dal boom di questi mesi che si trascinerà anche per buona parte del 2022: dieci punti di Pil in più in un biennio, con pieno recupero del prodotto lordo perduto durante la pandemia, è meglio di quanto ci si potesse attendere. La molla era carica, ma cosa l’ha fatta scattare? 



Due letture si confrontano nel Governo, ma anche nel mondo del lavoro, tra gli stessi osservatori internazionali, a cominciare dalle agenzie di rating come Standard & Poor’s che, confermando il rating dell’Italia (non riesce a scostarsi dalle tre B), ha comunque alzato l’outlook da stabile a positivo. La prima spiegazione mette l’accento sulla spesa pubblica corrente (ristori, sostegni, incentivi) erogata durante la pandemia alla quale s’aggiungono i 200 e rotti miliardi di euro per gli investimenti che arrivano dall’Unione europea, in parte prestiti, in parte a fondo perduto. La seconda non nega naturalmente l’impatto dei trasferimenti, della politica monetaria espansiva e del Next Generation Eu (che però darà risultati concreti solo dal 2022), ma guarda soprattutto alla vitalità della società e dell’economia italiana, la spinta dunque nasce dal basso anche se è stata sostenuta e rilanciata dal Governo. 



Le conseguenze politiche sono evidenti. La prima scuola di pensiero punta a continuare, anzi a rafforzare sostegni e assistenza, pensioni anticipate, Reddito di cittadinanza, salvataggi, aiuti ai settori economici in sofferenza, utilizzando per questo il “tesoretto” assicurato dalla crescita e in parte anche i fondi europei. La seconda, invece, vuole utilizzare i fondi disponibili per sostenere la domanda riducendo la pressione fiscale, dare più spazio alle risorse generate dalla produzione, incentivare gli investimenti privati, accelerare le riforme strutturali, usare il Pnrr come leva per tagliare i “lacci e lacciuoli” che soffocano il lavoro. Il Consiglio dei ministri di martedì sarà dedicato proprio alle procedure e alle semplificazioni, perché i tempi stringono e Draghi non è soddisfatto di come si muove la rugginosa macchina dello Stato, a cominciare dai ministeri. Mentre emergono preoccupanti colli di bottiglia che frenano la ripresa dal lato dell’offerta (per esempio, la carenza di lavoratori e di specialisti si è fatta molto seria). 

Le due linee dividono anche i partiti della maggioranza, talvolta in modo trasversale. È chiaro che il M5S, puntando i piedi sul Reddito di cittadinanza, adotta la strategia assistenziale, meno scontata è la posizione della Lega. Il partito delle partite Iva (scusate il bisticcio) quello che ha sostenuto la flat tax, scava una trincea attorno alle pensioni anticipate, facendo di Quota 100 la sua linea Maginot. Certo, sulla carta è per tagliare le tasse, ma siccome le risorse sono limitate bisogna scegliere. Soltanto Forza Italia fa della riduzione fiscale il centro della propria strategia. Il Pd, preso tra due fuochi, strattonato dagli assistenzialisti, proteso a non scontentare troppo i cinquestelle, va un po’ qua e un po’ là. 

La prossima Legge di bilancio mette a disposizione 23 miliardi di euro, per il fisco ci sono 8 miliardi, dunque circa un terzo, e non è ancora chiaro come verranno spalmati. Viene ridimensionato, ma salvato, il Reddito di cittadinanza, su Quota 100 Draghi è stato chiaro non gli è mai piaciuta, ha una durata di tre anni e non verrà prorogata. Se si volesse dare un incentivo maggiore alla ripresa, per renderla più solida anche l’anno prossimo si dovrebbe aumentare la quota destinata a ridurre la pressione fiscale. È quel che dicono anche istituzioni internazionali come l’Ocse. Tra le buone notizie di questi mesi c’è che per la prima volta si è ridotto il debito pubblico sul Pil, soltanto grazie alla crescita. Dunque, questa è la via maestra, guai a fare marcia indietro. 

Il boom di quest’anno è frutto soprattutto di un miglioramento delle aspettative: l’attesa fine della pandemia, il buon risultato della campagna vaccinale, la fiducia in Draghi sono fattori determinanti. Lo dimostra il fatto che il lavoro è ripartito anche anticipando incentivi e trasferimenti spesso rallentati dalla burocrazia. Ha avuto un ruolo importante (sarebbe interessante poter stimare quanto) anche la sospensione delle imposte. Certo, andranno pagate, magari a rate, ma intanto la liquidità è stata utilizzata per i salari, per i consumi, per risparmiare. Nei conti correnti ci sono duecento miliardi di euro in più, giacciono senza fruttare interessi come rifugio in vista di ulteriori catastrofi, il cambiamento delle prospettive può metterli in circolo, escludendo una volta per tutte patrimoniali punitive e spingendoli a sostegno degli investimenti privati. 

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